Agromafie. Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia 2015 - InformaCibo

Agromafie. Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia 2015

di Informacibo

Ultima Modifica: 17/02/2016

Roma 17 febbraio 2016. Il quarto rapporto “Agromafie” sui crimini agroalimentari in Italia elaborato da Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare è stato presentato questa mattina, mercoledì 17 febbraio, al Centro Congressi Palazzo Rospigliosi, sede Coldiretti, in Via XXIV Maggio, 43. L’agroalimentare rappresenta un terreno privilegiato di investimento della malavita con un pericoloso impatto non solo sul tessuto economico ma anche sulla salute dei cittadini, sull’ambiente e sull’intero territorio nazionale, come dimostra l’inedita analisi sul grado di penetrazione.

I lavori sono stati introdotti da Gian Carlo Caselli – Presidente del Comitato Scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare.

E' stato Gian Maria Fara presidente Eurispes, ad illustrare il rapporto.
Il Rapporto annuale sulle Agromafie squarcia il velo sul fenomeno dei falsi, dell’italian sounding e dell’infiltrazione criminale nell’acquisto di terreni, coltivazione di materie prime, trasformazione e distribuzione.

Ecco gli aspetti criminosi sottolineati dal rapporto:
Associazione per delinquere di stampo mafioso e camorristico, concorso in associazione mafiosa, truffa, estorsione, porto illegale di armi da fuoco, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, contraffazione di marchi.
Sono queste le tipologie di illeciti riscontrate con più frequenza da parte delle organizzazioni criminali nel settore agroalimentare, con il business delle Agromafie che ha superato i 16 miliardi di euro nel 2015.

L'intensità dell’associazionismo criminale è elevata nel Mezzogiorno, ma emerge con chiarezza come nel Centro dell’Italia il grado di penetrazione sia forte e stabile e particolarmente elevata in Abruzzo ed in Umbria, in alcune zone delle Marche, nel Grossetano e nel Lazio, in particolar modo a Latina e Frosinone.

Anche al Nord il fenomeno presenta un grado di penetrazione importante in Piemonte, nell’Alto lombardo, nella provincia di Venezia e nelle province romagnole lungo la Via Emilia (leggere sotto).

In regioni quali la Calabria e la Sicilia si denota un grado di controllo criminale del territorio pressoché totale, al pari della Campania (sia pur con minore intensità nell’entroterra avellinese e beneventano). Tale risultanza, purtroppo non particolarmente sorprendente, riflette la forza e l’estensione di organizzazioni quali la ‘Ndrangheta, la Mafia e la Camorra. Il grado di controllo e penetrazione territoriale della Sacra Corona
Unita in Puglia, invece, pur mantenendosi significativamente elevato, risulta inferiore che altrove così come in Sardegna, regione dove all’elevata intensità dell’associazionismo criminale non corrisponde di pari grado l’egemonia di un’unica organizzazione.

La situazione in Emilia Romagna
L’intensità dell’associazionismo criminale nelle province dell’Emilia Romagna è basso e medio-basso. È quanto emerge dall’indice di Organizzazione Criminale (Ioc) elaborato dall’Eurispes nell’ambito del quarto Rapporto Agromafie con Coldiretti e l’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare che si fonda su 29 indicatori specifici e rappresenta la diffusione e l’intensità, in una data provincia, del fenomeno dell’associazione criminale, in considerazione delle caratteristiche intrinseche alla provincia stessa e di conseguenza sia di eventi criminali denunciati sia di fattori economici e sociali.
In Emilia Romagna – rileva Coldiretti regionale – il grado di penetrazione malavitoso è più evidente nelle zone romagnole, anche se risulta contenuto rispetto al resto della penisola. Nella classifica ricavata da Eurispes con l’indice Ioc, la prima provincia in regione per presenza della criminalità è Rimini, con un Indice di Organizzazione Criminale del 21,7, che la colloca al primo posto in regione, ma al 61simo posto in Italia. Insieme a Rimini a livello medio-basso (tra il 56simo e l’81simo posto) si collocano al 75° posto Bologna (Ioc: 15,2), al 77simo Ravenna e al 79simo Forlì-Cesena. Si collocano invece nella parte bassa della classifica (dall’82simo al 110cimo posto) all’87simo posto Reggio Emilia (10,4), al 91simo Modena (8,7), al 93simo Piacenza (8,1), al 94simo Parma (7,7) al 95simo Ferrara (6,4).
Le province emiliano romagnole – commenta Coldiretti Emilia Romagna – si collocano tutte al di sotto della media nazionale dello Ioc pari al 29,1, però emerge una penetrazione della malavita che mette a rischio la concorrenza e il libero mercato legale, soffocando l’imprenditoria onesta e compromettendo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy. La costante osservazione critica di tutto ciò che accade nel mondo della produzione e della distribuzione del cibo e le puntuali denunce delle situazioni di irregolarità potrebbero trasmettere l’idea che l’Italia sia irrimediabilmente la culla della corruzione e delle mafie.

Al contrario, le denunce del Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla Criminalità nell’Agricoltura e sul Sistema agroalimentare, mettono in risalto come nel nostro Paese questo genere di notizie vengano alla luce poiché esiste un controllo severissimo, anche perché i consumatori possono contare sull’impegno dei diversi comparti specializzati delle Forze dell’Ordine – il Comando Carabinieri per la Tutela della Salute, lo SCICO-GDF, il Corpo Forestale ora confluito nel Comando Unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare dell’Arma, l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari, la DIA – dei ministeri dell’Agricoltura, della Salute e della Giustizia (che lavora alla messa a punto di leggi a tutela del settore), della Magistratura, sempre più attenta nei confronti di un tema a lungo trascurato. La ricchezza delle informazioni sull’argomento dimostra che i nostri cibi sono i più sicuri del mondo perché sempre controllati da autorità diverse ed indipendenti.
Proprio grazie all’attività delle autorità preposte – afferma Coldiretti Emilia Romagna – è stato possibile anche nella nostra regione confiscare beni immobili e aziende alla criminalità organizzata. Secondo i dati dell’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati, nella nostra regione sono stati sequestrati 230 beni immobili, di cui 78 destinati, 145 in gestione totale e 7 usciti dalla gestione. Le aziende sequestrate sono state 44, di cui 13 destinate, 19 in gestione e 12 già uscite dalla gestione.

L’agricoltura e l’agroalimentare dell’Emilia Romagna sono sotto tiro della malavita soprattutto per furti e frodi. I furti nelle aziende agricole – rileva Coldiretti – hanno avuto un forte escalation proprio dall’estate 2015, con razzie di raccolti nei campi, in particolare ortaggi, cocomeri in testa, e poi con furti di gasolio agricolo e di attrezzi e mezzi agricoli, in particolare trattori. La criminalità organizzata che opera nelle campagne incide più a fondo nei beni e nella libertà delle persone, perché a differenza della criminalità urbana, può contare su un tessuto sociale e su condizioni di isolamento degli operatori e di mancanza di presidi di polizia immediatamente raggiungibili ed attivabili. Si tratta dunque di lavorare – secondo Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare – per il superamento della situazione di solitudine invertendo la tendenza allo smantellamento dei presidi e delle forze di sicurezza presenti sul territorio, ma anche incentivando il ruolo delle associazioni di rappresentanza attraverso il confronto e la concertazione con la Pubblica amministrazione, perché la mancanza di dialogo costituisce un indubbio fattore critico nell’azione di repressione della criminalità.
Oltre ai furti di mezzi nelle aziende, gli agricoltori emiliano romagnoli, pagano anche il diffondersi delle frodi e delle falsificazioni nel settore agroalimentare. Secondo quanto emerso alla presentazione del Rapporto sulle Agromafie, in testa alla classifica dei prodotti più falsificati ci sono i formaggi, prima di tutto il Parmigiano Reggiano, che deve far fronte a imitazioni in tutto il mondo, ma anche prodotti come il Prosciutto di Parma, Aceto Balsamico, conserve di pomodoro.

La contraffazione, la falsificazione e l’imitazione del Made in Italy alimentare nel mondo – il cosiddetto italian sounding – supera per fatturato i 60 miliardi di euro, (di cui 8 miliardi di euro riguardano prodotti dell’Emilia Romagna) con quasi due prodotti apparentemente italiani su tre in vendita sul mercato internazionale, secondo una analisi della Coldiretti.
Si tratta di una questione abbastanza insidiosa anche perché il fenomeno dell’Italian sounding non sempre si prefigura come un illecito penale. Ciò nonostante, l’associazione indebita al Made in Italy produce conseguenze deleterie per l’economia italiana. Alle falsificazioni internazionali se ne aggiunge una ancora più insidiosa: l’Italian sounding di matrice italiana, rappresentato ad esempio dall’azione di chi importa materia prima (latte, carni, olio, pomodoro) dai Paesi più svariati, la trasforma e ne ricava prodotti che successivamente vende come italiani senza lasciare traccia, attraverso meccanismi di dumping che danneggiano il vero Made in Italy, non esistendo ancora per tutti gli alimenti l’obbligo di indicare la provenienza in etichetta. Un segnale incoraggiante arriva dal piano per l’export annunciato dal Governo italiano che prevede, per la prima volta, azioni di contrasto all’Italian sounding a livello internazionale.

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Capo Redattore