Dibattito a EXPO: "Made in Italy o Italian Made? Idee e Sfide per il futuro Agroalimentare Italiano" - InformaCibo

Dibattito a EXPO: “Made in Italy o Italian Made? Idee e Sfide per il futuro Agroalimentare Italiano”

di Informacibo

Ultima Modifica: 01/10/2015

Milano Expo 2015. I prodotti alimentari “Made in Italy” al centro di un dibattito sul tema “Made in Italy o Italian Made?. 
L'interrogativo è stato: vanno messi l'uno contrapposto all'altro oppure si può trovare una fruttuosa complementarietà e sinergia tra le due “strategie”?

Questi sono stati gli argomenti di cui si è parlato nei giorni scorsi  in Expo, nel padiglione “Cibus è Italia – Federalimentare” nel corso di una tavola rotonda (“Made in Italy o Italian Made? Idee e Sfide per il futuro Agroalimentare Italiano”), organizzata dal periodico diretto da Cristina Lazzati in collaborazione con Fiere di Parma.
La questione, resa ancor più attuale dal cospicuo aumento dell’export alimentare italiano, è stata dibattuta da produttori agricoli, industriali alimentari e catene distributive.

Roberto Moncalvo (Colidiretti): l’origine dei prodotti agricoli sull’etichetta
Per Roberto Moncalvo, Presidente della Coldiretti, i consumatori chiedono la massima trasparenza e tracciabilità: “La consultazione pubblica promossa dal Ministero delle Politiche Agricole che ha coinvolto 26.547 partecipanti sul sito del Mipaaf dal novembre 2014 a marzo 2015 ha chiarito inequivocabilmente che il 96,5 per cento dei consumatori ritiene necessario che l’origine dei prodotti agricoli debba essere scritta in modo chiaro e leggibile nell’etichetta. In un difficile momento di crisi bisogna portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza e della verità per combattere la concorrenza sleale e rispondere alle reali esigenze dei consumatori. E quando si parla di importazione necessaria di materie prime alimentari bisogna ricordare anche che esistono aree agricole non più coltivate perché non c’era più convenienza, e che invece vanno rivitalizzate”.

Brazzale: “senza import di alimenti in Italia ci sarebbero almeno 10/15 milioni di affamati, oppure il crollo dell'export”
La domanda crescente nel mondo di cibo Made in Italy indica che quanto già viene fatto da tempo, cioè qualificare con “Made in Italy” il know how trasformativo dell’industria alimentare, debba essere riconosciuto senza ipocrisie.

Lo ha sostenuto Roberto Brazzale, Presidente del Gruppo Brazzale (azienda lattiero-casearia che produce oltre al formaggio Gran Moravia, burro, quattro prodotti DOP e sei diversi marchi): “Per riuscire a soddisfare la domanda complessiva di alimenti, composta dalla somma dei consumi interni più la quota destinata all’export, l’Italia deve necessariamente importare materie prime da trasformare, ovvero prodotti finiti già trasformati all’estero. Diverse filiere alimentari non sono e non potranno essere autosufficienti, tanto è vero che tante produzioni italiane sono autobloccate, per sostenere i prezzi. La questione fondamentale, perciò, diventa: vogliamo che questo cibo sia prodotto all’estero e poi venduto in Italia, oppure vogliamo sempre più intercettare questo flusso, diventando sempre più protagonisti nell’imponente fabbisogno di produzione e trasformazione di alimenti per soddisfare la domanda interna e quella di export, potenzialmente illimitata?”.
In conclusione per Brazzale (qui sotto riportiamo l'intero suo intervento) non c’è alcuna contraddizione tra i concetti di Made in Italy e Italian Made: “Sono assolutamente complementari e sinergici, e non ha alcun senso considerarli l¹uno alternativo all’altro, anche perché l’unica alternativa all’import è la decrescita. L’alternativa più plausibile all’ Italian Made, non è il Made in Italy ma il ‘foreigners Made’”.

Per migliorare la comunicazione ai consumatori sulla produzione dei prodotti alimentari italiani, la catena distributiva “Consorzio Coralis” ha lanciato una “super-etichetta”, “Etichètto”, che viene applicata ai prodotti alimentari italiani al 100%. Ne ha parlato il Presidente, Eleonora Graffione: “Etichètto è prima di tutto un programma etico, uno strumento per ridare trasparenza alle origini e alla lavorazione dei prodotti di cui ci nutriamo. Etichètto non sostituisce la marca del produttore, ma la integra, attestandone le qualità, i tracciati ed i percorsi. Non è una forma di marca privata del distributore, ma casomai si configura come una super label che fa della trasparenza e della garanzia etica i propri principali valori, esaltando, quando reali, le migliori caratteristiche dei produttori. E’ alleanza con tutte le parti: coltivatori, produttori, clienti”.

Per il Gruppo Petti, che produce passate di pomodoro, polpe, pelati e via dicendo, il prodotto Made in Italy per potersi definire tale deve essere italiano dal campo allo scaffale, tanto che Petti ha affidato quote del Gruppo ai suoi produttori agricoli, come ha spiegato Pasquale Petti, amministratore delegato: “Per il nostro progetto di marca utilizziamo solo pomodoro toscano lavorato a bassa temperatura; per questo abbiamo deciso di far entrare al nostro interno, con quote societarie, la parte agricola del processo produttivo, ovvero l’Asport (Associazione produttori ortofrutticoli toscani), per garantire ai consumatori finali oltre a qualità ed innovazione dei processi di trasformazione, anche la tracciabilità e la provenienza della materia prima. Utilizziamo solo pomodoro toscano lavorato a bassa temperatura, secondo la migliore tradizione conserviera italiana”.
Made in Italy o Italian Made, comunque sia prodotto il Made in Italy è importante che venga correttamente comunicato ai consumatori, ha sintetizzato alla fine della tavola rotonda
il moderatore Cristina Lazzati, direttore del periodico GdoWeek: “L’obiettivo deve essere la massima trasparenza per il consumatore. Che sia Made in Italy o Italian Made il dichiarato deve corrispondere ai fatti è un impegno che le aziende del nostro Paese devono prendere per continuare ad esser credibili e per valorizzare l’Italia che decidono di vendere”.


Cristiana Lazzati, Roberto Moncalvo, Roberto Brazzale e Eleonora Graffione

 

"Made in Italy o Italian Made?"
Qual è il vero interesse dell'Italia e dei suoi cittadini?
L'intervento di Roberto Brazzale, Presidente del Gruppo Brazzale

Riteniamo utile pubblicare integralmente l'intervento di Roberto Brazzale che in Expo, dal palco di Cibus e' Italia di Federalimentare, ha argomentato un concetto più ampio di “Made in Italy”, non nel significato letterale e riduttivo di "fatto in Italia", ma nel significato di prodotto "italiano", cioè prodotto la cui realizzazione coinvolga in misura significativa le risorse umane, il territorio e la cultura italiana, e in relazione al quale la creazione di valore aggiunto economico sia in modo significativo attribuibile e di pertinenza di cittadini italiani e dell’Italia.
Solo con questo cambio di marcia, secondo Brazzale, si potrà “accrescere il volume dei nostri fatturati, creando valore aggiunto per la nostra e altrui popolazione e per il nostro e altrui territorio, in Italia e all'estero, attraverso l'aumento delle produzioni realizzate secondo il nostro saper fare, la nostra tradizione, le nostre formidabili qualità”.

La parola a Roberto Brazzale
L'Italia è in grave e crescente deficit di terreni e di produzione di materie prime agricole. L'agricoltura e la zootecnia italiana non sono in grado di sopperirvi e hanno esaurito la loro capacità di creare nuova materia prima in grado di compensare il deficit.

L’Italia ha oggi 30,1 mln di ha di ST (superficie totale), con una disponibilità di terreno coltivabile SAU (superficie agricola utilizzata) di 12,87 mln di ha (Francia e Spagna ne hanno più del doppio), vale a dire il 42,7% della ST, e 4,73 abitanti per ha, contro i 2,91 della media UE. Nel 1961 l’Italia aveva ben l’88% del territorio agricolo, oggi solo il 57%, con una perdita di circa 8 mln di ha di ST e 26% di SAU. Nel mentre, la popolazione dal 1961 a oggi è aumentata da 50,8 a 61,2 mln di abitanti, e il reddito pro capite (e relativo potere di spesa) è aumentato da 804 US$ a 35.925 US$ (non deflazionato).

Senza import di alimenti in Italia ci sarebbero almeno 10/15 milioni di affamati, oppure il crollo dell'export.
Per alimentare i 62 mln di abitanti l’Italia deve assolutamente importare alimenti. Nel 2011 l'Italia ha prodotto l'89% delle risorse alimentari necessarie a coprire il fabbisogno, ma con differenze fra prodotto e prodotto: 33% per quanto riguarda le leguminose, 34% per lo zucchero, 69% per le patate, 64% per il latte e 72% per le carni. Meglio il riso (274%), frutta fresca (126%), ortaggi (103%) e pomodoro (181%) e uova (101%).

L'export, infatti, aggrava ulteriormente il deficit alimentare, ma rappresenta al contempo un’occasione straordinaria se alimentato da un corrispettivo aumento dell'import di materie prime o semilavorati.

I dati più recenti mostrano il nostro export alimentare in crescita dell’8% nei primi sei mesi dell’anno, ponendo le basi per raggiungere a fine 2015 la storica cifra di 36 miliardi di euro. L'obiettivo è di 50 miliardi di export entro il 2020.

Dunque, l'Italia deve necessariamente importare materie prime da trasformare, ovvero prodotti finiti già trasformati all'estero, per riuscire a soddisfare la domanda complessiva di alimenti composta da consumi interni più export.

Vogliamo che questo cibo sia prodotto all’estero e poi venduto in Italia come semplice mercato di sbocco, oppure vogliamo intercettare questo flusso e diventare sempre più i protagonisti nell'imponente fabbisogno di produzione e trasformazione di alimenti per soddisfare la domanda interna e quella di export, potenzialmente illimitata?

Gli italiani possono incrementare valore aggiunto e ricchezza trasformando materie prime estere in Italia o gestendo i processi produttivi agro-industriali fuori dal nostro Paese, governando quindi i processi di produzione dei prodotti alimentari di cui necessita.

Ma la realtà è sconfortante: complessivamente, fra il 1999 e il 2007, in Italia il valore aggiunto del settore alimentare si è ridotto in termini reali dello 0,2 per cento (+0,2 per cento nel comparto manifatturiero nel suo complesso).

Su questi risultati fortemente deludenti, oltre ai disastrosi effetti dell'Euro sulla nostra bilancia commerciale, ha senza dubbio inciso l’ossessiva focalizzazione sul "Made in Italy" inteso in senso riduttivo come "fatto in Italia", e il disconoscimento da parte della politica e delle istituzioni, anche delle stesse associazioni di categoria, delle straordinarie potenzialità dell'industria di trasformazione italiana, intesa nella sua accezione più ampia di artigiani, piccole e medie imprese, cooperative, grande industria.

Nonostante quanto si creda, perfino gli agricoltori e gli allevatori hanno interesse a quegli sviluppi perché:

  • rafforzano la competitività dell’industria di trasformazione italiana (che trasforma anche la materia prima nazionale), che sarebbe più efficiente e competitiva in Italia e nel mondo.
  • incrementano la concorrenza tra acquirenti di materia prima italiana; il vero interesse dei produttori di materia prima italiana è la concorrenza tra gli acquirenti e non certo la concentrazione dell’offerta.
  • stimolano l’efficienza del prodotto italiano.
  • creano canali commerciali all'estero per la vendita di prodotti italiani.

La vera sfida è che "Made in Italy" e "Italian Made" superino l’insensata logica di contrapposizione e trovino una fruttuosa complementarietà e sinergia, giungendo a un concetto di prodotto "italiano" che faccia sintesi delle nostre straordinarie potenzialità.

"Made in Italy" e "Italian Made" sono, perciò, assolutamente complementari e sinergici e non ha alcun senso considerarli in contrapposizione, anche perché l'unica alternativa all'import è la decrescita. Va, al contrario, sostenuta l’entusiasmante e promettente congiuntiva: "Made in Italy and Italian Made"!
Alternativa al "Made in Italy and Italian Made"! è solo il "Foreign Made" o la rinuncia all'export”.

"Qual è il vero interesse dell'Italia e dei suoi cittadini?"
Questo è stato l'interrogativo finale che Roberto Brazzale ha rivolto alla platea dei presenti.

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Capo Redattore