Fango dal New York Times sull'olio italiano - InformaCibo

Fango dal New York Times sull’olio italiano

di Informacibo

Ultima Modifica: 29/01/2014

Roma 29 gennaio 2014. Il New York Times attacca l'olio italiano. Anziché un teschio, l'oliva con due ossa incrociate. E' questo il nuovo simbolo di pericolo lanciato dal quotidiano Usa e associato all'"adulterazione dell'olio d'oliva italiano".

In una serie di pagine web (vedere QUI), parte della sezione opinioni, il quotidiano parla del "suicidio extra vergine". Il racconto in slide disegnato da Nichola Blenchman, art director del New York Times Book Review, e basato sul blog "La verità nell'olio di oliva" di Tom Mueller, sostiene che "gran parte dell'olio italiano venduto come olio di oliva non viene dall'Italia ma da Paesi come Spagna, Marocco e Tunisia". La tesi è che in queste nazioni le olive vengono trattate e pressate; l'olio derivante viene poi caricato e spedito via nave. Destinazione: Italia, definita "il più grande importatore al mondo di olio d'oliva".

Al porto di Napoli, l'unico raffigurato nell'infografica del Times, arriva non solo questo prodotto ma anche "olio di soia e altri olii a basso costo" che sono poi "etichettati come olio di oliva" e diventano così oggetto di contrabbando all'interno del medesimo scalo portuale.

Nelle raffinerie, continua il racconto, l'olio di oliva viene 'tagliato' con olii di bassa qualità e mischiato con beta-carotene "per mascherare il sapore" e clorofilla, "per il colore". Successivamente, continua il Times, l'olio viene imbottigliato ed etichettato come "extra vergine" e distribuito nel mondo con il rispettato marchio di "Made in Italy" che, precisa l'autore, "è stranamente una cosa legale anche se l'olio non viene dall'Italia". E così l'ingrediente simbolo della cucina mediterranea fa il giro di tutto il mondo arrivando anche sugli scaffali dei negozi americani, dove circa il 69% dell'olio di oliva è di fatto manomesso.

Gli autori di questo racconto parlano anche dei carabinieri italiani che, per lottare contro le frodi, sono istruiti a individuare l'olio non puro. Siccome "test di laboratorio sono facili da falsificare", si legge sul sito del Times, "la polizia fa affidamento sull'olfatto". Non solo. La poliza regolarmente effettua blitz nelle raffinerie, nel tentativo di "regolare il settore". Ma i "produttori, molti dei quali hanno connessioni con politici potenti, sono raramente perseguiti". Le slide terminano riprendendo il concetto di "suicidio" del titolo d'apertura: l'idea è che i produttori corrotti di fatto commettono un suicidio perché la conseguenza di queste pratiche fraudolente è il calo dei prezzi dell'olio di oliva.

Le critiche in arrivo dagli Stati Uniti sull'olio di oliva italiano sbarcheranno mercoledì alla Camera dei deputati, dove proprio Mueller presenterà il libro "Extraverginità. Il sublime e scandaloso mondo dell'olio di oliva”.

L'attacco del New York Times all'Olio italiano trova la pronta risposta della Toscana, di Coldiretti e di Luigi Caricato

La Toscana e la Coldiretti non ci sta
La Toscana si solleva compatta contro le accuse indirizzate all'Italia dal New York Times.
«Il nostro olio extravergine è di alta qualità e garantito», ripetono da ieri (giorno dell'uscita su un blog del Nyt delle vignette "incriminate" sul «suicidio dell'extravergine italiano») associazioni agricole toscane, consorzi di tutela degli oli extravergine Dop e Igp, enti pubblici come la Camera di commercio di Firenze e Regione Toscana. Il presidente regionale, Enrico Rossi, oggi è arrivato addirittura a invitare in Toscana l'autore delle vignette, Nicholas Blechman, «per fargli vedere come si fa il nostro olio», mentre il consorzio dell'olio Dop Chianti Classico (2.000 quintali di olio prodotti all'anno) ha replicato con un cartoon che spiega il percorso produttivo del vero extravergine Dop italiano, invitando il giornale americano a pubblicarlo. «È importante mettere in guardia il consumatore contro le contraffazioni – sostiene il consorzio dell'olio Dop Chianti Classico – ma crediamo sia altrettanto importante informarlo sugli strumenti per individuare e scegliere prodotti genuini».
 

La scritta della didascalia: “Le bottiglie sono etichettate come olio extravergine d’oliva e marchiate con il “Made in Italy” degno di rispetto in tutto il mondo. (Curiosamente questo è legale, anche se l’olio non viene dall’Italia)


In realtà, il giornale americano non ha puntato il dito contro la Toscana (che si è però sentita chiamata in causa per essere la regione che storicamente esporta più olio negli Stati Uniti) e neppure contro gli oli certificati Dop o Igp, ma ha rappresentato una realtà – quella dell'olio spacciato per italiano senza essere fatto con olive italiane – che è sotto gli occhi di tutti e che viene ripetutamente denunciata dalle stesse associazioni agricole italiane e toscane. La più attiva, su questo fronte, è Coldiretti, che anche in questa occasione è stata la prima a segnalare le vignette del Nyt e ad ammonire sugli «effetti negativi sull'immagine e sulle vendite all'estero dei nostri prodotti». La stessa Coldiretti Toscana ha però ammesso che «il giornale americano denuncia con forza e efficacia una situazione che conosciamo bene tutti, politica compresa, ma a cui probabilmente non si vuole dare una risposta chiara». Il riferimento è alla legge sull'etichettatura dell'olio approvata dal Parlamento italiano, che "Bruxelles sta tentando di insabbiare».

Eloquenti, in questo senso, proprio i dati della Toscana: la regione nel 2012 ha esportato olio per 459 milioni di euro (pari al 26,6% dell'export italiano), arrivando a superare i 500 milioni secondo le stime 2013, con un incremento rispetto all'anno precedente vicino al 19%. A fronte di questa leadership nell'export, la produzione della campagna oleicola 2013 si è attestata a 16mila tonnellate, pari al 4% della produzione italiana. Il risultato, secondo Coldiretti, è che «a ogni litro d'olio prodotto in Toscana corrispondono 10 litri di olio imbottigliato che finisce negli scaffali nazionali e soprattutto internazionali, dando così vita alla parabola della "moltiplicazione" dell'extravergine». Segno che l'olio che parte dalla Toscana è solo in piccola parte toscano: questo fenomeno si spiega in parte con la presenza di due tra le principali industrie oleicole nazionali, che producono numerose etichette; in parte con l'esistenza di oli contraffatti e sofisticati. Che, però, piace denunciare solo da casa propria.

 

Fango dal New York Times

di Luigi Caricato

Non c’è limite al grottesco. Vergognoso e vile attacco alla onorabilità del comparto oleario italiano. Una testata giornalistica a suo tempo prestigiosa gioca con l’abusato e razzistico cliché dell’italiano mafioso o comunque delinquente. Con la complicità del “fuoco amico” di quanti, in Italia, amano gettare discredito al settore pur di guadagnare fama e consenso.

Si è appena conclusa a Milano la terza edizione del grande happening “Olio Officina Food Festival – Condimenti per il palato & per la mente” e posso dire di essere orgoglioso del grande lavoro che c’è dietro e del successo che ne è derivato. E’ stato tutto molto faticoso, ci lavoro da lungo tempo, l’operazione non è semplice. E’ una strada perennemente in salita. Non è stato facile in tutti questi anni suscitare curiosità e creare il bisogno di acquisire una cultura dell’olio nella gente comune. E’ materia impervia, in fondo l’olio è da tutti percepito come un semplice e generico condimento tra i tanti. E’ sostanza grassa, poco importano le differenze.

Io ci lavoro da anni, sull’olio. Da sempre. Lo faccio attraverso le parole, perché ciascuno di noi ha in fondo una propria vocazione e io ho quella per la scrittura. Credo nella comunicazione, ma credo anche che le parole debbano servire a costruire, non a demolire. Scrivo e opero intorno all’olio per dar luogo a un’opera di sensibilizzazione. Lo faccio per onorare il lavoro di mio padre, agricoltore. Un lavoro che ritengo continuamente vilipeso. Mio padre, Domenico, si alza all’alba per consegnarsi alla coltivazione della sua amata terra, senza batter ciglio. E’ nato nel 1931, non smette mai di lavorare, nonostante gli si dica di riposare. Sembra che parli alle piante, per quanto le ama.

Insieme con mio padre ci sono tanti compagni di viaggio con cui ho dialogato, stringendo mani ruvide, piene di calli e solchi profondi. Nella campagne confinanti con quelle di mio padre vi lavorano tante brave persone, oneste e sincere, semplici. Io scrivo per loro, per quanti non sono in grado di farlo. Pe raccontare, per testimoniare, per far sapere a tutti cosa sta dietro ogni bottiglia d’olio: la fatica del produrre, soprattutto, tanti sacrifici non sempre ripagati. Scrivo con l’intenzione di sensibilizzare il consumatore, di indirizzarlo verso scelte sagge, consapevoli. Il mio impegno in tutti questi anni si è tradotto in decine e decine di libri, in articoli su articoli, in conferenze, in partecipazioni a convegni e in organizzazioni in proprio di eventi, tratteggiando sempre i lati positivi, mai fondando la comunicazione su questioni strumentalmente scandolose. Non ho bisogno di fondare il mio lavoro sulla demolizione, io costruisco saperi, apro nuovi percorsi. Faccio la mia parte. Preferisco la fatica del costruttore.

Io la mia parte l’ho sempre fatta. Parlano per me le opere. La soddisfazione per il mio lavoro è grande. Pensavo di godermi il successo, al termine di Olio Officina Food Festival. Non ho avuto nemmeno il tempo di gioire. In tanti a scrivermi: “Hai letto? Hai letto?”. Così, dopo il mio grande impegno nel comunicare l’olio da olive in tutta la sua immediatezza e natura, dopo tante energie positive profuse, è arrivato, terribile e devastante, il colpo basso del “New York Times”. Contro l’Italia olearia. Così, per gettare discredito. Senza fare distinzioni e soprattutto senza guardare in casa propria. Troppo facile giudicare gli altri e mai se stessi. E’ solo spazzatura, dico a chi mi chiede un parere. La gente che mi contatta è amareggiata e avvilita. E’ spazzatura eccellente e prestigiosa – aggiungo, per rincuorarli – ma è pur sempre spazzatura. Succede. Anche ai giornali più celebrati. Non è la prima volta. Le illustrazioni delle vignette animate sono di Nicholas Blechman. La fonte? Non stupitevi: Tom Mueller. L’americano che ha trovato l’America in Italia. E’ l’autore del libro Extraverginità. Il sublime e scandaloso mondo dell’olio di oliva. Un titolo che è tutto un programma.

Si legge di bastimenti di olio di semi di soia o di altri oli poco costosi etichettati come olio d’oliva.
Si legge di raffinerie in cui l’olio viene mescolato con oli più economici.
Si legge dell’utilizzo di beta-carotene per nascondere il sapore e clorofilla per colorare.
Si legge dell’olio preseunto italiano destinato in ogni angolo del mondo.
Si legge che negli Stati Uniti d’America il 69% dell’olio sia adulterato.
Si legge che per fronteggiare le frodi sia stata istituita in Italia una sezione speciale dei Carabinieri appositamente addestrati per riconoscere l’olio cattivo.
Si legge anche che le forze dell’ordine visitino regolarmente le raffinerie per controllare il settore.
Si legge pure che i produttori abbiano rapporti con politici potenti e che raramente vengano perseguiti.
Si legge infine che le frodi generino il crollo dei prezzi e che i produttori corrotti indebolendosi portano il settore al suicidio.
Con tutta onestà, scorrendo l’animazione del “New York Times” si assiste solo al suicidio dell’informazione e del buon senso. L’intelligenza viene calpestata. Il rispetto, neanche a parlarne.

Si fa troppo in fretta a giudicare gli altri. Con un fondo di razzismo mai del tutto sopito, pensando sempre agli italiani come a un popolo di mascalzoni. Nessuno tuttavia, tra costoro, che si interroghi come mai, in termini di legislazione, gli Stati Uniti siano stati per anni soggetti – fino all'ottobre 2010, anno in cui sono finalmente entrati nella civiltà giuridica del resto del mondo – a una legge risalente al presidente Truman, che rende legale qualsiasi intruglio. Gli oli italiani, e con essi tutte le nostre ricchezze alimentari, vengono continuamente depredate nel nome, sfruttando l’immagine dell’Italia con marchi volutamente ingannevoli, senza che vi sia possibilità di difendere le nostre identità.
Forse certa gente andrebbe educata al senso del rispetto. Offendere deliberatamente l’onorabilità del comparto oleario italiano è da selvaggi. Posso anche capire che si abbia voglia di fornire notizie eclatanti ai propri lettori, pur di suscitare clamore, ma arrivare a banalizzare una questione così delicata come quella delle frodi – fenomeno peraltro che appartiene a tutti i popoli e non è esclusiva degli italiani – è alquanto deprimente.
Questa gente ignorante e grossolana nei modi – e chissà se anche in malafede – volutamente ignora che tutto il settore agroalimentare italiano è soggetto a costanti verifiche, proprio allo scopo di offrire garanzie certe ai consumatori. E sono peraltro attivi, non uno, ma perfino una serie esagerata di organismi di controllo – forse anche troppi, e costosi – i quali agiscono con metodicità e costanza, non perché si è in una situazione di emergenza, ma per prevenire, esprimendo così un’attenzione qualificata che altri Paesi nemmeno si sognano lontanamente di avere. Si confonde così un impegno virtuoso a favore della tutela delle produzioni con una visione negativa e allarmante del controllo. Dovrebbero venire in Italia, ma senza pregiudizi, questi signori nati solo per confezionare scandali, per demolire anxiché per costruire.

Le vignette pubblicate sul “New York Times” disonorano chi le ha immaginate e pubblicate, non il comparto oleario italiano. E’ fango gettato deliberatamente per macchiare l’onorabilità di un Paese di onesti lavoratori che per generazioni ha dimostrato di possedere la capacità di imporsi sul mercato con le proprie forze. Certo, in tutta questa spazzatura mediatica noi italiani ci meritiamo una parte di fango, visto che vi è una assaociazione di categoria in forte crisi di contenuti e di progettualità che puntualmente discredita la filiera dell’olio di oliva con comunicati stampa grotteschi e arditi. Ci sono stati perfino ministri dell’agricoltura italiani che, in cerca di gloria elettorale e di consenso, hanno usato l’arma dei comunicati stampa per esagerare alcune notizie che meritavano di essere sì affrontate, ma diversamente, con prudenza, vista la delicatezza dell’argomento frodi. In fondo si paga lo scotto di un Paese che si fa calpestare nella sua dignità perché non ha mai saputo far fronte comune, reagendo agli ignobili e pretestuosi attacchi di chi specula sulla pelle di una imprenditoria sana e onesta. Le lezioni di morale se le facciano pure in casa propria, i giornalisti del “New York Times”. Di aspetti di cui vergognarsi ne hanno ben più di noi.
 

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Capo Redattore