I vincitori del Premio Eno-Letterario Santa Margherita - InformaCibo

I vincitori del Premio Eno-Letterario Santa Margherita

di Informacibo

Ultima Modifica: 04/12/2012

Milano novembre 2012. I tre finalisti della settima edizione Premio Eno-Letterario Santa Margherita, realizzato in collaborazione con Librerie Feltrinelli, sono stati premiati a Milano nella prestigiosa cornice del Four Seasons Hotel, nel cuore della città, per una piacevole serata all’insegna della cultura e dell’enogastronomia. La giuria, composta da personaggi di rilevanza nazionale, ha selezionato i primi tre racconti, tra gli oltre mille pervenuti.   

Il riconoscimento è nato sette anni fa per iniziativa del Gruppo vinicolo Santa Margherita di Fossalta di Portogruaro, in provincia di Venezia. La particolarità del Premio letterario, organizzato con la collaborazione delle Librerie Feltrinelli, sta nella pubblicazione dei racconti dei primi tre classificati, volutamente molto brevi, su una particolare retroetichetta staccabile, stampata sulle bottiglie dei tre prodotti di prestigio in cui la Casa si identifica maggiormente: Pinot Grigio Valdadige D.O.C., Chardonnay Trentino D.O.C. e Muller Thürgau Frizzante Vigneti delle Dolomiti I.G.T. che verranno spedite in tutto il mondo.

Il Premio si conferma un appuntamento importante per scrittori emergenti che, grazie a questa iniziativa culturale, realizzano il sogno di editare un bestseller, in oltre 300.000 copie.

 

Ecco i vincitori:  

Alessandro Di Mase 1° classificato con il racconto “Criminal Wine” 

Bèrtrand Mailfert si stagliava immobile nel portone di ingresso del suo ristorante, il sole della Provenza, quasi al tramonto, scavava ombre profonde nel suo volto magro e angoloso e tingeva di un color pesca il camicione da chef con il nome ricamato sopra il taschino. I suoi occhi non smisero per un momento di seguire il commissario Monroval mentre parcheggiava un’anonima utilitaria davanti al ristorante a due stelle.

– La ringrazio di avere accettato l’invito a cena, disse Mailfert, in queste condizioni mi sarebbe impossibile lasciare il locale per venire da lei.

Mailfert guidò il commissario a un tavolo apparecchiato per due, nello stile sobrio ed elegante del locale. Si sedettero.

– La fuga di mia moglie con il suo amante, oltre a mettermi in una condizione di penoso imbarazzo – continuò Mailfert – ha distrutto l’organizzazione di questo locale e ora, oltre alla rovina del matrimonio, temo per quella della mia attività.

Monroval guardava Mailfert in silenzio, la testa leggermente piegata da un lato, l’espressione impassibile, sembrava incoraggiarlo a continuare.

– Spero che le piaccia la terrina di pesce, per iniziare, la preparo con dei filetti di branzino pescato con la lenza che mi mandano ogni giorno da Port Cros, se per lei va bene potremmo accompagnarlo con un Chassagne-Montrachet del 2006.

Il commissario Monroval alzo un sopracciglio, inspirò a lungo, poi emise una specie di basso lamento.

– Credevo che il 2006 non fosse una buona annata, non sarebbe meglio un 2005?

Monroval fissava Mailfert, la cui fronte si era imperlata di microscopiche gocce di sudore.

– 2005? Si, beh, di molto sopravalutato, in ogni caso non ne ho, in cantina.

– Strano – disse Monroval, leggendo la guida, prima di venire qui, mi sembrava di avere visto il 2005 tra le annate offerte dal ristorante, anzi, tra le più consigliate.

Furono interrotti dal cameriere che depositò davanti a loro le due terrine di pesce e si allontanò silenzioso come era arrivato.

– Come è strano che sua moglie le abbia inviato quella lettera di addio dalla Nuova Zelanda, visto che non risulta entrata nel paese.

Mailfert, sempre più a disagio, scrutò gli occhi scurissimi del commissario e disse: cosa vuole che le dica, è lei che mi ha abbandonato, per di più portandosi via i risparmi di una vita, io mi aspetto che voi la troviate, non che veniate qui a molestarmi.

Monroval si godeva la terrina, alternando un boccone dell’eccellente pietanza a un sorso del vino ambrato, che sorseggiava tenendo il calice per il piede, godendosi il rilucere delle gocce di condensa, attraverso le quali continuava a scrutare il povero Mailfert.

– Il fatto è, Mailfert, che un vinaio mi ha detto che improvvisamente sono apparse sul mercato duemila bottiglie di Chassagne-Montratchet 2005 della cantina Joly-Veniér, proprio come quello che stiamo bevendo noi adesso.

Mailfert aveva iniziato a trovare scomoda la poltroncina in cui era seduto e si appoggiava ora al lato destro, ora al sinistro, mentre il suo viso era divenuto terreo. Non aveva toccato né il cibo né il vino, mentre il commissario aveva quasi terminato il suo piatto, e lo guardava con aria interrogativa.

– Beh, adesso potremmo continuare con uno gigot d’agneau, col quale raccomanderei un Haut Medòc, se è d’accordo.

– Su questo sono senz’altro d’accordo, replicò il commissario, è sulla sua versione dei fatti che non concordo.

Mailfert ora era bianco come la tovaglia di fiandra che ricopriva il tavolo e guardava il commissario come un animale condotto al macello.

Monroval rimase in silenzio mentre aggrediva l’agnello cotto alla perfezione e lo annaffiava con meditati sorsi del corposo vino rosso.

Mailfert cedette di schianto.

– Mi dica almeno come lo ha capito!

– Il vino, rispose Monroval, dopo aver ucciso sua moglie ha murato il corpo in una delle nicchie della sua cantina, ma si è ritrovato con duemila bottiglie di troppo e non ha avuto il coraggio di buttarle via.

– Finiamo almeno la bottiglia – disse Mailfert, e Monroval annuì in silenzio.

Alessandro Di Mase, nato a Milano nel 1960, sposato, una figlia adolescente, è laureato in ingegneria. Ha vissuto, oltre che in Italia, in Belgio, in Francia ed in Turchia ed ha lavorato in diversi altri paesi europei. Ha una vera passione per il mare e per le immersioni subacquee. Non parte mai per uno dei tanti viaggi senza una buona scorta di libri. I suoi interessi letterari sono mutevoli. Ama i vini, senza essere un vero intenditore, e la cucina, di cui cerca costantemente buoni esempi durante i propri viaggi, specialmente in quei ristoranti che hanno solide ed antiche tradizioni.

 

Silvia Cerioli 2° classificato con il racconto “Il pranzo di Marcella”

“Ma come sarebbe a dire, è sparita? E dove sarebbe andata? Maria, ti prego, calmati”. La filippina che da tre anni seguiva sua madre lo aveva chiamato nel bel mezzo di una mattinata di lavoro e, singhiozzando, lo aveva avvisato che sua madre non si trovava da nessuna parte. Si era volatilizzata.

“Vengo subito, – intimò alla povera donna – stai lì, non ti muovere”. Così aveva mollato le sue carte da avvocato, si era infognato nel traffico di Roma e, guidando come un matto, aveva raggiunto il vecchio condominio in cui sua madre viveva.

Un viso ancora bello, un fisico che non sembrava quello di un’ultrasettantenne, ma la testa che non c’era più, si ritrovò a pensare Franco mentre parcheggiava. Colpa di una demenza senile precoce, a causa della quale Marcella Denisi, una delle prime donne in Italia a scrivere di enogastronomia, passava il tempo in un mondo tutto suo, parlando di persone che non c’erano più e di articoli che aveva scritto da giovane.

Le scale le fece in un balzo, aprì la porta e si trovò di fronte Maria, piangente. “Non so cosa è successo – gli spiegò – ho visto che si era appisolata in salotto e mi sono dedicata alle piante in terrazzo. Quando sono tornata, lei era scomparsa”.

Le due ore successive furono ancora più angosciose. Con l’aiuto di una vicina, tentò di cercarla nelle strade vicine, un dedalo di vicoli nel vecchio quartiere della Garbatella. Poi, sconfitto, chiese aiuto alla stazione locale dei carabinieri dove, per fortuna, ritrovò un vecchio compagno di scuola, Paolo Nardini. “Faremo il possibile, Franchì. E poi, la conoscono tutti, vedrai che la ritroviamo”. Era stato di parola. Un’ora dopo, mentre si arrovellava sul da farsi a casa di sua madre, Paolo lo aveva chiamato: “Non ci crederai”. Gli aveva detto dov’era: lo avrebbe aspettato fuori. Il posto era a cento metri dalla casa di sua madre.

La trattoria non era affollatissima, ma nemmeno vuota. E sua madre sedeva da sola in un angolo, vestita di tutto punto e con un’espressione allegra che non le rivedeva da tempo. “Che facciamo?”, chiese a Nardini. “Avviciniamoci, senza agitarci”, gli propose lui. Quando arrivarono ad un metro, si accorsero che aveva di fronte a sé una porzione gigantesca di pollo con i peperoni ed una bottiglia di rosso già iniziata. Franco lo riconobbe: era uno dei preferiti della madre.

“Mamma, che ci fai qui?”, tentò di apostrofarla. Lei gli regalò un bel sorriso. “Cosa faccio? Lavoro, figlio mio! Lo sai che senza le mie recensioni il giornale si vende meno. Ma tu invece, perché te ne stai impalato col tuo amico? Sedetevi con me. Paga il giornale, sapete…”.

Riluttanti, si accomodarono al tavolo. E sua madre, che negli ultimi tempi aveva visto quasi sempre taciturna, persa nelle sue fantasie, sembrava di ottimo umore. “Questo pollo è meraviglioso – la sentì spiegare – il segreto è nei peperoni. Certo, non è facile abbinarci il vino, per via della nota piccante, ma questo rosso è un vecchio amico che non tradisce”.

Aveva una causa importante due giorni dopo, Franco. E il cellulare, silenziato, che friggeva. Ma lo spense. Era tanto tempo che sua madre non gli appariva così felice ed erano anni che non si sedevano insieme in un ristorante, a godersi un pasto assieme. Colpa della malattia della mamma, ma anche del poco tempo a disposizione. Soltanto ora, si rendeva conto che i pranzi minimalisti di Maria dovevano essere stati un supplizio per quella donna che conosceva i segreti del buon mangiare e del buon bere.

Lui e Paolo si fecero portare le stesse pietanze della signora, si concessero persino un brindisi con lei. L’ansia di poco prima sembrava sparita, per lasciare il posto ad una grande quiete.

“Dovremmo farlo più spesso”, commentò sua madre entusiasta, alla fine del pranzo. “Hai ragione, mamma. Ma ora andiamo a casa”. La signora lo guardò severa. “Certo che andiamo. Non ho molto tempo per scriverla, quella recensione”.

Silvia Cerioli nasce a Roma nel ’67, dopo la laurea in Scienze Politiche, si dedica al giornalismo, specializzandosi in temi economici e sindacali. Dal 2007 cura l’ufficio stampa di alcune associazioni di categoria. Vive a Roma con il marito Paolo, il suo “tifoso” letterario più accanito.

 

Barbara Gramegna 3° classificato con il racconto “O tempùra! O mures!”

Mi sono imbattuta in estimatori della maionese in bidone, in enofili che non sanno distinguere un taver- da un bru-nello, in detrattori della frittura in olio d’oliva che si alimentano di pringols.

Mi sono appassionata alla storia di marsala terapeutici.

Mi sono adulterata a parlare di etanolo.

Mi sono un po’ incazzata a vedere i libri di cucina primi in libreria e poi ricevere inviti per un hamburger al fastfùd.

Mi sono trovata a disquisire per ore sul ricordo di miele d’acacia in un gewürztraminer insieme a gente che la cacia credeva fosse una formaggella.

Mi sono imbarazzata a vedere roteare, sino al rischio di slogamento gomito, un bicchiere di frizzantino in tanica.

Mi sono divertita a fare la vinoterapia non sentendo nemmeno uno dei suoi tanto millantati effetti benefici.

Mi sono disorientata a leggere dell’ultima sagra della Pezzata e scoprire che non si trattava di ascelle.

Mi sono impegnata nella lettura di tesi che sostengono che il sapore del vino dipende dalla musica e quindi mi sono messa i tappi.

Mi sono spalmata creme di vinaccioli borgognoni sperando di dare alla mia esistenza una ‘botte di vite’.

Mi sono persa a cercare anacardi sulla settimana enigmistica e topinambur in un disneistòr.

Mi hanno sconquassato le palle i ricettari, i blog di cucina, i cuochi in tv, le ‘cheffate’ ben confezionate, le signore che sudano chantilly, gli uomini borderline e quelli bordolesi, gli stuzzichini e gli eppiauar da accalappio.

Mi hanno sguainato i nervi i corsi di degustazione, gli enogastronomi baschi, le sfide culinarie, le donne enologhe fugate e non e i tour gastronautici diabetoinduttivi.

Mi hanno procurato irsutismo gli slofùddi e le associazioni per la tutela dell’oca del mondragone o per la protezione del biroldo della garfagnana.

Nonostante tutto ciò continuo a sedermi a tavola con piacere e a riempirmi il calice, non farmi ingannare e restare con le mani in pasta e i piedi in tino.

Barbara Gramegna nasce a Bolzano dove lavora come insegnate di lingua tedesca. Con l’avvento di internet comincia a rendere pubblici i suoi lavori letterari. La Rivista Orizzonti di Aletti Editore sceglie nel novembre 2009 Di che sostanzaper il concorso Parole in Fuga e seleziona Giudecca per il concorso il Tiburtino. Nel 2008 Minishorts, una raccolta di racconti brevi. Attualmente collabora con le riviste online Fillide, Franz Magazine, La Valsugana, con il blogWomenoclock e al progetto di fiction letteraria collettiva Miló 7.

 

Congratulazioni ai finalisti e un arrivederci al prossimo anno a tutti coloro che con entusiasmo, fantasia e “gusto” hanno partecipato a questa edizione.

 

Santa Margherita prosegue anche quest’anno la sua opera di sensibilizzazione del mondo enogastronomico abbinato alla cultura, allo scrivere e al leggere, che ha già’ coinvolto negli anni migliaia di appassionati.  

Ottant’anni di storia enologica, ma oltre due secoli di presenza imprenditoriale. Santa Margherita nasce nel 1935 per volontà del conte Gaetano Marzotto che, allora, guidava l’omonimo gruppo tessile vicentino avviato agli inizi dell’800 dal nonno Luigi. Una volontà ben precisa: riuscire a creare un polo agricolo innovativo che rompesse con gli schemi tradizionali dell’epoca e che rappresentasse un fattore di modernità e sviluppo. Una visione perfettamente in linea con la verve del conte Gaetano: un vero e proprio tycoon che sapeva fondere gli obiettivi aziendali con le esigenze sociali. Attorno all’azienda agricola Santa Margherita – così come a Valdagno attorno agli stabilimenti Marzotto – nacquero infatti i primi quartieri residenziali per i dipendenti, strutture culturali e ricreative. Una sensibilità vera, non di facciata, che proseguì negli anni difficili del Secondo conflitto mondiale e dell’immediato dopoguerra. 

Una figura imprenditoriale rilevante nella storia economica italiana: capace come pochi altri di leggere i trend dell’economia mondiale (fu sempre lui ad inventare le prime catene alberghiere suggerendo un futuro turistico al Paese); di indirizzare scelte pubbliche, ma anche di incentivare uno sviluppo più diffuso meritandosi appieno il titolo di “umanista d’impresa”.

Il conte Gaetano ebbe otto figli ed oggi suo nipote, che ne porta il nome, figlio del primogenito Vittorio Emanuele, presiede Santa Margherita. 

www.facebook.com/pages/ViniSantaMargherita

twitter.com/ViniSMargherita 

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L'Autore

Capo Redattore