Il mistero del “frutto perduto”. Un giro di ricordi che riaffiorano dalla mia infanzia. - InformaCibo

Il mistero del “frutto perduto”. Un giro di ricordi che riaffiorano dalla mia infanzia.

di Informacibo

Ultima Modifica: 26/05/2015

Mi sono così inoltrata nei mercati dove vengono tanto decantati i “prodotti di fattoria” ed ho fatto le mie riflessioni. Mi piacerebbe fosse instaurato un dialogo fra campagna e città e che i mercatini istituiti nei centri storici non fossero solo una vaga rappresentazione di frutti campagnoli, ma il meglio di essi. Un esempio al quale non posso rinunciare sono le quattro bancarelle che riscoprivo annualmente nel grossetano quando, durante le mie vacanze estive, trovavo le pesche mature, dolci, dalla buccia sottile ed elastica, il nocciolo sano che si staccava di netto dal frutto, col suo bordino rosso che ti invitava a succhiarlo. La pesca, bella, fresca e vellutata è,  per eccellenza,  il frutto dell’estate, grazie al gusto, alla succosità ed alla capacità dissetante legata all’alta percentuale di acqua in essa contenuta (85%); possiede proprietà  nutritive ed energetiche ed una buona percentuale di vitamine. La pesca viene utilizzata con  grande fantasia nella cultura popolare e contadina. E’ continuamente oggetto di nuovi accostamenti: preparata a tocchetti  con zucchero e spezie, candita ed arricchita di sapori in sofisticati piatti gastronomici. Questo frutto ha sempre rivestito un ruolo di riguardo nell’addobbo sfarzoso delle tavole, lo si ritrova raffigurato nei dipinti pompeiani e in celeberrime composizioni di natura morta. Purtroppo spesso la buccia è splendida, ma l’interno si presenta  marrone: non è commestibile.
Sono giunta alla conclusione che dobbiamo ricuperare “il mistero del frutto perduto”. Il mio “frutto perduto” è l’albicocca, ne sono golosa, proprio per questo ghermisce maggiormente la mia attenzione. Sull’albicocca sono molto esigente, deve avere profumo, polpa morbida e dolce, sapore unico. Raramente, gustandola, mi ritengo  soddisfatta.
Il colpo di fulmine fra me e l’albicocca è scoccato tanti anni fa, in una masseria in Abruzzo  quando, invitata ad assaporarne  una, mi sono ritrovata a goderne la freschezza, la perfetta maturazione e il sapore gustoso: non troppo dolce, accattivante, il colore vivace, la impercettibile bruma della buccia. Purtroppo dagli anni ’70 le albicocche non sono più le stesse. Mi pongo molte domande e mi balena fra la mente che la  causa sia dovuta alla filiera troppo lunga che impone una raccolta anticipata sulla maturazione. L’eccellenza di questo frutto è la sua maturazione e non deve trascorrere più di un giorno dalla sua raccolta all’arrivo sul mercato. Se raccolte non mature non hanno sapore, sono insipide e la polpa diventa gommosa. La pianta dell’albicocca si adatta difficilmente ad ambienti diversi da quelli di origine per cui in tale situazione  dà una produzione scarsa e poco invogliante. Ho letto che le piante da frutto producono frutti di qualità quando la quantità dei frutti sull’albero è proporzionata alla potenzialità delle foglie di nutrirli, influenzando la dolcezza della polpa. E’ probabile che, se questo “equilibrio” svanisce, il frutto abbia il sapore più o meno di una patata. Il periodo migliore per la raccolta delle albicocche va dalla metà di maggio alla metà di luglio per le tardive. Alle volte il frutto può apparire attraente, ma spesso è ingannevole perché presenta un colore di maturazione che in effetti è solo apparente. Bisogna fare attenzione al colore del frutto: trascurare le verdastre, le gialle sono più o meno mangiabili, se l’albicocca è aranciata e morbida sarà sicuramente buona.  Una garanzia può essere la provenienza, buone le albicocche vesuviane e quelle liguri del savonese. Merita una citazione particolare la varietà piemontese, la Tonda di Costigliole,  localizzata nei dintorni di Saluzzo e nel cuneese. Trovo difficile riassaporare il gusto che mi riporta all’infanzia. O dure o insipide e, con grande rammarico, me ne sono disaffezionata. Piano piano ho smesso di mangiarle e quindi di comprarle. L’albicocca si associa ad un dolce favoloso la Sacher-Torte che non sarebbe più la stessa senza la marmellata di albicocche..

Anche le fragole, così timide e riservate,  hanno avuto il loro posto nella storia: se ne cibavano persino i popoli primitivi. Nelle favole mitologiche e negli antichi trattati di botanica, sono sempre state molto elogiate. Hanno trovato menzione anche nella Bibbia e sono considerate il frutto prediletto da San Giovanni Battista. Nel rigore del Medioevo erano considerate il frutto della tentazione. Il Re Sole era ghiotto di questi frutti e negli orti reali era riservato grande spazio alla loro coltivazione. Ovviamente si trattava di fragole ben lontane dalla tipologia attuale. Ormai le fragole vengono coltivate in particolari serre raso terra ricoperte da teloni di plastica. In questo modo sono protette dal formarsi di muffe ed, essendo leggermente alzate dal terreno, non si sporcano e sono igieniche. Alcune  varietà  mantengono molto bene  il  mercato, in quanto sono dolci, molto profumate, di un bel colore rosso e dalla polpa soda, decisamente più profumate rispetto a quelle importate dall’Egitto e dal Marocco o, per via aerea,  dall’Australia e dalla California. E’ il frutto più usato in pasticceria: le tentatrici ornano budini, meringate e sfogliate e sono insostituibili sulle crostate e sulle torte farcite alla panna. In inglese “fragola” si traduce “strawberry “. Deriva dal fatto che nel 1700 i giardinieri inglesi  la coltivavano su lettiere di paglia (straw) e questo frutto era considerato una bacca (berry). La fragola adorabile è la magiostra, minuta, fresca, selvaggia, odorosa, dolcissima. 

Qual è il frutto più allegro? Di sicuro la ciliegia. Che festa da ragazzini! Nei dintorni di  casa, in campagna,  c’erano belle piante di ciliegio: quelle altissime i “duroni” con la loro polpa scura e colorata, quelle più basse le “marene” e noi ragazzini … ad andare a rubarle!  I maschi si arrampicavano come gatti lungo il tronco per coglierle, le buttavano sotto a noi, in attesa, con le  gonne allargate e tese dalle braccia. Poi via di corsa per una scorpacciata, perché si sa “una ciliegia tira l’altra”. Ne facevamo coroncine, collane ed orecchini per noi ragazzine, da sempre vanitose. Ovviamente le nostre “prodezze” non passavano sempre lisce ed allora erano guai. La bellezza della ciliegia è tanto prorompente che, anche se costosa, resta importante protagonista sui banchi dei fruttivendoli. Come si può rinunciare alle ciliegie? Mangiarne è un gesto semplice, ma dà una notevole emozione: rossa, invitante, rotonda, succosa,  di una dolcezza particolare, si scioglie in bocca ed è appagante: è un frutto desiderato e desiderabile. La stagione delle ciliegie  ha una breve durata, un mese o poco più, introduce all’estate e ci fa pregustare il sole, la calura, le vacanze.  E’ sempre foriera di felici appagamenti. La ciliegia non è solo bella, ma apporta al nostro organismo un’abbondante quantità di vitamine, potassio, calcio, fosforo e flavonoidi,  è ricca di fibre solubili e possiede una preziosa azione disintossicante, lassativa e diuretica. In pasticceria è deliziosa e invitante: come non pensare ai boeri,  cioccolatini che vantano un  giusto equilibrio tra cioccolato e ciliegia, con poche gocce di liquore all’interno, il loro bel picciolo, un prodotto di “bontà artigianale”. 

A fine maggio si terrà sotto il porticato del Palazzo del Doglione a Marostica l’ennesima °Mostra provinciale delle ciliegie di Marostica, con l’esposizione di ciliegie IGP nelle diverse varietà.  Per ora delle ciliegie posso dire solo una cosa: poche, costose, ma ancora buone.
 

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