Umberto Vezzoli, intervista allo chef giramondo - InformaCibo

Umberto Vezzoli, intervista allo chef giramondo

di Alessandra Favaro

Ultima Modifica: 24/01/2019

Un continuo viaggio nei sapori. Così si potrebbe sintetizzare l’esperienza e la carriera dello chef Umberto Vezzoli, chef volto noto a La Prova del Cuoco con una carriera alla guida delle cucine dei ristoranti e hotel più prestigiosi.
Lo avevamo incontrato a Milano, per farci raccontare del suo rapporto con la cucina e il territorio, e con una professione che è in continuo mutamento. Del talento creativo di Umberto Vezzoli molto si sapeva già, ma dalla chiacchierata è emersa con piacere anche una personalità fortemente curiosa e sempre proiettata nel futuro.

Il suo primo ricordo legato alla cucina?
Risale alle scuole medie il mio primo contatto con la cucina. La famiglia del mio compagno di banco aveva un ristorante in paese: finita la scuola andavo a casa con lui ed entravamo direttamente dalla cucina. Quello è stato l’inizio del mio rapporto con i sapori e gli odori: da quel momento la cucina mi ha incuriosito e intrigato.

Cosa vuol dire essere uno chef oggi?
Vuol dire davvero tante cose. Vuol dire essere una mamma, uno scienziato, un pr, un ragioniere. E poi vuol dire essere instancabile, perché si lavora dalla mattina alla sera. Ed è solo dopo aver svolto tutti questi ruoli che si comincia a cucinare. Ma uno chef deve essere anche un esploratore del gusto. Deve viaggiare, scoprire, capire e al rientro spiegare tutto ai collaboratori. I frutti di questa esplorazione devono poi arrivare al cliente.

Qual è l’ingrediente del cuore? Quello a cui non può proprio rinunciare…
Non è proprio uno. Nel passaggio tra 1999 e 2000 ho scelto di portare con me nel nuovo millennio un paniere di ingredienti. E così ho lasciato il Novecento traghettando con me nel Terzo Millennio la mortadella, il foie gras, il guancialetto di Amatrice e le ostriche.

Cosa c’è sempre nel frigo di casa sua?
Il guancialetto appunto, poi lo zenzero fresco, un formaggio come pecorino o parmigiano, uova e verdure.

Qual è il piatto che le piace preparare?
Quello che mi appassiona preparare è un piatto che se domani mancasse la corrente posso fare a occhi chiusi al buio: la gricia. Lo so che detto da un bresciano sembra strano, ma lo amo: è un piatto veloce, dinamico e gustoso.

Una cosa che la cucina le ha insegnato sulla vita?
Da questo punto di vista il viaggio in Giappone mi ha insegnato molto. Tante cose sulla vita le ho apprese dentro le cucine giapponesi, dove regnano valori importanti come la sorpresa, la curiosità e il rispetto. Tutti fondamentali per realizzazione della cucina giapponese, ma assolutamente trasferibili anche alla vita di tutti i giorni.

Umberto Vezzoli T Bistrot Gourmet Social Club

Come definirebbe la sua cucina?
Arte, passione, cultura. E rispetto del prodotto.

E parlando proprio di cultura del prodotto, qual è il territorio che le ha dato di più da questo punto di vista?
Io amo dire spesso che non accetto mai cibo da sconosciuti. Cosa vuol dire? Che voglio sempre saperne la provenienza: la tracciabilità per me è essenziale. E da questo punto di vista l’esempio migliore è il Cilento, dove è nata proprio la dieta mediterranea. Ci sono un microclima e una biodiversità che sono davvero unici al mondo. E ti trovi a imparare tantissimo sui prodotti e la loro storia parlando con un contadino, un allevatore, un casaro, un pescatore. Proprio perché, come dicevo prima, bisogna sempre essere esploratori del gusto.

Da dove attinge l’ispirazione per i nuovi piatti?
L’ispirazione viene spesso per caso. Direi che è nell’aria. Faccio un esempio. Nel 2000 mi trovavo a Palermo, sul mare, a mangiare uno scorfano proposto con fagioli, orzo, farro. Nello stesso tempo c’erano dei gatti in giro: il cameriere li ha scacciati dicendo “via, non c’è trippa per gatti”. Ecco l’ispirazione, mi è bastata quella frase. Sono tornato a casa e ho pensato di aggiungere la trippa in un piatto di pesce. Più in generale l’ispirazione può venirmi guardando uno scaffale al supermercato, passeggiando tra le vetrine o davanti a un’opera d’arte.

Alla luce delle nuove tecniche di cottura, qual è la sua preferita?
Nell’evoluzione delle cotture mi piace il sottovuoto, ma non a bassa temperatura per 72 ore. Preferisco sempre dinamicità nella preparazione, eliminare i passaggi superflui e tenere l’essenziale. Ma non mi sentirete mai dare del pazzo a un collega. Se le nostre auto godono costantemente di migliorie tecniche è merito della sperimentazione spinta che c’è in Formula 1. Lo stesso vale per la cucina: mai fermare la ricerca e l’azzardo.

Qual è l’idea dietro lo stile del ristorante?
Il cliente deve assolutamente sentirsi a suo agio. Non voglio che venendo qui provi stress e ansia di prestazione e aspettativa: mi piace servire piatti buoni e accessibili a tutti. Vieni, ti siedi, mangi, esclami: ah però, non pensavo. E’ fondamentale poi la coerenza: la mia cucina ora è così perché il mio ristorante si trova su questa strada, su questa via. Mi piace essere coerente col posto in cui sono. Dovessi spostarmi, cambierebbe anche il mio stile.

Che consiglio darebbe a un giovane che vuole fare questo mestiere?
Con la grande abbuffata di show e talent culinari che ci sono in tv è difficile non cadere nella tentazione di seguire un modello. Il consiglio che mi sento di dare a un giovane è quello di fissarsi un obiettivo ed essere sé stesso. E’ importante costruirsi il proprio gusto, il proprio stile di cucina. Non guardare e copiare gli altri. E soprattutto viaggiare ogni anno per imparare sempre cose nuove.

Condividi L'Articolo

L'Autore

giornalista