Gusto per l’insolito ed entusiasmo: intervista con Nuccia De Angelis
D.One Ristorante: lo scorso anno la Stella Michelin ora il titolo di Ristoratore dell’anno e lo scatto da una a due Forchette per Gambero Rosso
di Donato Troiano
Ultima Modifica: 13/11/2018
Sperimentazioni medico scientifiche applicate alla ristorazione. E’ l’ imminente clamorosa novità del D.One Ristorante Diffuso di Montepagano in Abruzzo, perla dell’ospitalità italiana sulle colline teramane, prodotto del magico mix tra due genialità irrequiete: la manager Nuccia De Angelis con lo chef Davide Pezzuto.
La novità in arrivo si annuncia come qualcosa di “inedito e soprattutto utile” al benessere del cuoco sottoposto allo stress quotidiano dei fornelli: prevenzione medica e cucina.
Sarà, lo è già, uno dei momenti più alti toccati dal progetto manageriale Montepagano 1137, della società MAR srl. Ricerca, tecnologie innovative, informatica, innovazione e servizi horeca che investono anche il D.One, originale format di valorizzazione del territorio, sostenibilità ambientale, tutela della biodiversità applicata alla ristorazione con spunti di ricerca anche medica.
Un saggio di management a tutto tondo e una vocazione naturale per Filomena “Nuccia” De Angelis, rosetana di origine, archeologa subacquea specialista di archeologia medievale, entusiasta patronne del D.One, maestra nel far muovere il mondo creando sinergie nell’interesse collettivo.
Lo scorso anno la Stella Michelin (ne abbiamo parlato qui), ora il titolo di Ristoratore dell’anno e lo scatto in avanti da una a due Forchette per Gambero Rosso.
Un modello di professionalità sfaccettato come un diamante, a tre anni dal lancio il format D.One va collezionando meritati riconoscimenti.
Con l’idea del ristorante diffuso, primo nel suo genere. L’accoglienza di nuova generazione, in un borgo medievale che rischiava di scomparire. L’alta ristorazione in perfetto equilibrio fra le origini (la campagna a disposizione con le sue materie prime, pallino di sempre di chef Pezzuto) e l’avanguardia medico-scientifica applicata al gusto, sintesi innovativa dell’esperienza maturata da Nuccia De Angelis accanto al marito Alessandro Marroni, scienziato della medicina subacquea e iperbarica (protagonista negli anni ‘80 con il professor Pierluigi Data dell’Università di Chieti dell’avanguardistico Centro iperbarico di Sant’Atto – Teramo, ndr) presidente dell’organizzazione internazionale DAN Europe, nonchè appassionato coltivatore della vigna e dell’olivo.
Un gioco di testa e di cuore, insomma. E di sogni in grande. Per Nuccia il desiderio di riportare a nuova vita i luoghi d’origine e realizzare il chiodo fisso di sempre (la buona cucina), l’abilità nel far convergere energie buone a vantaggio del territorio, e un senso innato del management. Tutto quanto ha fatto di lei il “Ristoratore dell’anno”, un modello di professionalità innovativa e traversale governato con competenza, passione e una buona dose di intuito tipicamente femminile.
Filomena “Nuccia” De Angelis: “Vado di persona a raccontare granetti, scrippelle e mazzarelle agli ospiti a tavola. E’ un modo per salvaguardare la tradizione”
D.One è la creatura di Nuccia, una sua proiezione, lo racconta a InformaCibo, in questa intervista.
Nuccia, da archeologo subacqueo a ristoratore dell’anno, come è successo?
“Anche se tardi il destino ha voluto che incrociassi Davide, è lui la carta vincente, senza di lui non avrei raggiunto questo traguardo. In lui ritrovo la mia stessa voglia di perfezionismo. Non ci sediamo mai sugli allori, dopo la Stella Michelin ci siamo subito posti un nuovo obiettivo. Occorre un po’ di tutto, voglia di fare e capacità”
Al mondo dell’ospitalità si era già accostata in precedenza?
“La vita mi ha portato a fare altro fino a oggi ma l’arte della cucina è da sempre la mia passione, il mio gioco preferito da bambina. Imparavo guardando mia madre e mia nonna e poi variavo quei piatti come piaceva a me. Da grande mi sono abbonata a ogni rivista del settore e ho fatto tutti i corsi di cucina che mi capitavano, soprattutto con le signore teramane. Fino ad arrivare alla lezione sul risotto con Niko Romito: era nel giorno del mio compleanno e lo chiesi a mio marito come regalo. Ricordo che commentò: vuole insegnare il risotto a un milanese come me? Invece…”
Come nasce il format poliedrico del D.One?
“L’idea dell’albergo diffuso l’avevo già in mente, con Davide si è ribaltata la situazione: avevo la possibilità di completare il mio sogno con il ristorante. Il punto era come accaparrarsi lo chef, sapevo quanto fosse corteggiato e comunque in cerca della soluzione per lui ideale. Ho cercato su internet, Davide veniva definito come un uomo legato alla terra, al suo Salento, pensava all’azienda agricola di famiglia. Gli abbiamo messo a completa disposizione il nostro terreno vicino al ristorante, circa venti ettari. Anche per lui è stato il compiersi di un sogno, l’occasione per esprimere un talento che nemmeno lui sapeva di avere! Davide segue quotidianamente quel terreno, insieme con mio marito scelgono le coltivazioni da mettere, ricerca le aromatiche e gli ortaggi tipici del posto, anche varietà ormai introvabili, ci ha dato l’input a passare in bio. Siamo la prima famiglia custode della rara gallina nera atriana, di cui utilizziamo le uova insieme a quelle di altre galline nere tipiche del territorio. Mangiano grano Senatore Cappelli coltivato da noi”.
In quali modi rendete unica l’esperienza gastronomica al D.One?
“Con questo format ho creato ciò che vorrei trovare quando vado fuori: accoglienza attenta, calda e cordiale con l’aggiunta della sorpresa, qualcosa di insolito che possa stupire, storie da raccontare. A Montepagano c’è tutto un mondo da scoprire. La cucina ad esempio, è centralizzata nell’edificio principale che si sviluppa su due piani non comunicanti, sopra era il forno del paese, sotto l’officina del fabbro ferraio che fabbricava le pentole in zona, arrivavano da Montorio per acquistarle. Abbiamo pensato all’ascensore interno tra i due livelli, con vetrate trasparenti: scenden l’ospite dà uno sguardo sulla cucina, il cuore pulsante del ristorante”.
Anche l’ascensore panoramico è una sua trovata, quindi
“Poter vedere lo chef all’opera crea feeling con l’ospite, lo fa partecipare a quanto sta accadendo. Avremmo voluto avere lo spazio per il tavolo dello chef, un privilegio per i clienti più curiosi ed esigenti. Ma non è stato possibile. Offrire più soluzioni di ristorazione, quello sì: cantinetta, cantinone per feste e banchetti, Solo per due con maggiordomo dedicato. Un’impostazione unica nel suo genere che ci distingue e che il Gambero Rosso ha voluto premiare”.
Il racconto dei piatti dello chef è suo appannaggio
“Sicuramente. Vado di persona a raccontare granetti, scrippelle e mazzarelle agli ospiti a tavola. E’ un modo per salvaguardare la tradizione. Intorno ai granetti di acqua e farina, piatto povero contadino del periodo borbonico, ci sono memorie, si racconta che aumentassero la montata lattea alle puerpere. Una preparazione che la nuova generazione di cuochi non è più disposta a fare presi come sono da altri tempi in cucina. Neanche Davide sapeva cosa fossero i granetti, così ho chiamato la signora Anna Scarpone di Roseto, un’autorità in materia. Gli ha spiegato tutto, per giunta in lingua locale. Davide non si è limitato a rivisitare il piatto, lo ha proprio stravolto, fatto suo. Invece di fave cipolla e guanciale ha impiegato pesce, jus di canocchie, cascigni e burrata: una meraviglia che l’anno scorso gli ha guadagnato il secondo Cappello sulla guida Espresso. Storie di transumanza che si intrecciano, è così che ho scoperto perché perché i cascigni, le cicorie selvatiche, erano chiamate così: perché i pastori li mangiavano insieme al cacio!”.
Su cosa sta concentrando attualmente l’attenzione?
“Un discorso che mi sta a cuore è la sala, finora cenerentola della ristorazione. Sto cercando nuovi modi per coccolare l’ospite, stupirlo. Ora sto giocando con le compressine “napkins”, le sistemo a distanza giusta, le bagno con l’ampolla ed ecco che si gonfiano davanti al cliente. Servo il caffè nella grolla valdostana. Prossima novità sarà nella cuccuma, alla napoletana, una modalità slow decisamente diversa dall’espresso consumato all’istante: anche l’attesa fa parte del piacere di stare a tavola. Si va al ristorante per fare un’esperienza, mangiare viene dopo. Chi viene qui può aspettarsi qualcosa di insolito, sopra le righe. Ho messo insieme una carta di vini affinati nelle profondità marine, vini maturati in anfora, birra con acqua di mare, erbe aromatiche coltivate in idrosfera. Grazie alla consulenza del DAN e alle sperimentazioni nello spazio, in alta quota e negli ambienti estremi porteremo in cucina novità di portata scientifica”.
Prossimamente in arrivo?
“Nuovo e inedito format saranno pasticceria e gelateria espresse alla carta con l’ingresso nel nostro team del pastry chef Michele Ainis. Come noto stiamo riaprendo il Pagus, storica sala ricevimenti di Montepagano con vista fino al Conero. L’abbiamo rimesso completamente a nuovo conservando il nome originario, avrà un ristorante gourmet e sarà destinato a matrimoni d’autore, stellati. Il D.One è una realtà in espansione, offriremo nuovi posti di lavoro anche nella brigata di cucina. Segnaliamo l’apertura del nostro Lieviti sul lungomare di Roseto, piccolo e curato bistrot dove trovare puccia salentina e pinsa romana con ripieni fatti da Davide, maestro degli impasti Nicola Kliti”.
Una squadra unita anche nel tempo libero, ricerca dell’originalità, senso del marketing: non è facile tenere testa a tanto, qual è in definitiva il suo segreto?
“Io? Non riesco a fare quello che non mi piace fare, mi devo divertire ed entusiamare tutti i giorni chi lavora con me. Come? Raggiungendo gli obiettivi, applicando strategia e passione. Il bello del mio lavoro è la trasversalità, l’apertura ad ambiti differenti nel vantaggio reciproco. L’unione fa la forza, insomma. Una forma mentis che in Abruzzo purtroppo tarda ad attecchire, per questo siamo rimasti al palo e le altre regioni vanno avanti”.
Intervista a cura di Jolanda Ferrara
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