Millennials poveri e senza futuro: l’Italia del rapporto Censis
di Informacibo
Ultima Modifica: 03/12/2016
E' un'Italia 'rentier', avara di speranze, quella che il Censis fotografa nel 50esimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese, diffuso il 2 dicembre 2016.
L'immobilita' sociale genera insicurezza: dall'inizio della crisi nel 2007, in Italia sono stati accantonati 114,3 miliardi di euro di liquidita' aggiuntiva. Una cifra maggiore del Pil dell'Ungheria. Per i 'millennial' e' un k.o. economico. I loro redditi sono piu' bassi del 15% rispetto alla media. Un gap che cresce al 26,5% se si fa il confronto con i loro coetanei di venticinque anni fa. La ricchezza dei giovani e' inferiore del 41% rispetto a quella dei sessantenni, che stanno sempre meglio. Per gli over 65 il reddito infatti e' aumentato del 24,3%. La ricchezza dei 'millennial', secondo l'analisi del Censis, "e' inferiore del 4,3% rispetto a quella dei loro coetanei del 1991, mentre per gli italiani nell'insieme il valore attuale e' maggiore del 32,3% rispetto ad allora e per gli anziani e' maggiore addirittura dell'84,7%. Il divario tra i giovani e il resto degli italiani si e' ampliato nel corso del tempo, perche' venticinque anni fa i redditi dei giovani erano superiori alla media della popolazione del 5,9% (mentre oggi sono inferiori del 15,1%) e la ricchezza era inferiore alla media solo del 18,5% (mentre oggi lo e' del 41,1%)".
"Le aspettative degli italiani – si legge nel Rapporto Censis – continuano a essere negative o piatte. Il 61,4% e' convinto che il proprio reddito non aumentera' nei prossimi anni, il 57% ritiene che i figli e i nipoti non vivranno meglio di loro (e lo pensa anche il 60,2% dei benestanti, impauriti dal downsizing generazionale atteso). Il 63,7% crede che, dopo anni di consumi contratti e accumulo di nuovo risparmio cautelativo, l'esito inevitabile – osserva il Censis – sara' una riduzione del tenore di vita. Fare investimenti di lungo periodo e' una opzione per una quota di persone (il 22,1%) molto inferiore a quella di chi vuole potenziare i propri risparmi (il 56,7%) e tagliare ancora le spese ordinarie per la casa e l'alimentazione (il 51,7%)".
La parola d'ordine nell'economia degli italiani e' liquidita'. Quella totale, disponibile in contanti o in depositi non vincolati (che ammontavano a 818,4 miliardi di euro al secondo trimestre del 2016) "e' pari – calcola il Censis – al valore di una economia che si collocherebbe al quinto posto nella graduatoria del Pil dei Paesi Ue post Brexit, dopo la Germania, la Francia, la stessa Italia e la Spagna".
Quasi il 36% degli italiani "tiene regolarmente contante in casa per le emergenze o per sentirsi piu' sicuro e, se potessero disporre di risorse aggiuntive, il 34,2% degli italiani le terrebbe ferme sui conti correnti o nelle cassette di sicurezza. Cosi', con una incidenza degli investimenti sul Pil pari al 16,6% nel 2015, l'Italia si colloca non solo a grande distanza dalla media europea (19,5%), da Francia (21,5%), Germania (19,9%), Spagna (19,7%) e Regno Unito (16,9%), ma e' tornata ai livelli minimi dal dopoguerra".
"Emerge – rileva il Rapporto – una Italia rentier, che si limita a utilizzare le risorse di cui dispone senza proiezione sul futuro, con il rischio di svendere pezzo a pezzo l'argenteria di famiglia".
Sul fronte dell'occupazione, invece, una schiarita: tra il 2013 e il 2015 sono stati recuperati 274.000 occupati e nel primo semestre del 2016 l'andamento dell'occupazione e' ancora positivo, con una variazione pari a +1,5% rispetto allo stesso periodo del 2015. Non si tratta, pero', di lavoro stabile. Tra gennaio e agosto 2016, infatti, il contratto a tempo indeterminato e' stato utilizzato nel 21,3% dei rapporti di lavoro attivati, ma nel 2015 la quota era molto piu' alta, il 32,4%). Per contro, i contratti a termine sono il 63,1% del totale.
Secondo il Censis, "l'innovazione normativa (decontribuzione e Jobs Act con i contratti a tutele crescenti) ha quindi fatto fibrillare il mercato del lavoro". E il boom dei voucher (277 milioni di contratti stipulati tra il 2008 e il 2015 per 1.380.000 di lavoratori coinvolti, 70 milioni di nuovi voucher nei primi sei mesi del 2016), "e'il segnale che la forte domanda di flessibilita' e l'abbattimento dei costi stanno alimentando l'area delle professioni non qualificate e del mercato dei 'lavoretti'".
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