Acciughe del Cantabrico: storia, qualità e segreti del filetto più pregiato al mondo
Come un pesce povero è diventato l'oro della gastronomia gourmet e perché dobbiamo ringraziare (anche) i salatori siciliani emigrati in Spagna
di Simone Pazzano
Ultima Modifica: 12/12/2025
C’è stato un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui i pescatori del Cantabrico ributtavano le acciughe in mare. Erano tante, anzi troppe, e venivano usate soprattutto come esche per pescare tonni e orate. Oggi quelle stesse acciughe, pescate nelle acque del Mar Cantabrico, possono costare centinaia di euro al chilo e comparire nei menu dei ristoranti stellati da Tokyo a New York.
Cosa è successo nel frattempo? Una storia di emigrazione, di sapere artigianale e di un mare che, per ragioni geologiche e climatiche, produce un pesce diverso da tutti gli altri.
Indice
Un mare freddo che fa la differenza
L’acciuga è l’acciuga, verrebbe da pensare. Eppure l’Engraulis encrasicolus che popola il Golfo di Biscaglia sviluppa caratteristiche che non si trovano altrove. Il Mar Cantabrico è profondo, battuto da correnti forti, con temperature significativamente più basse rispetto al Mediterraneo.
Il pesce deve lavorare di più per sopravvivere e spostarsi e il risultato è una muscolatura più tonica e sviluppata. Ma soprattutto, per proteggersi dal freddo, l’acciuga cantabrica accumula uno strato di grasso intramuscolare che diventa il vero protagonista del prodotto finale. È questo grasso che, durante i lunghi mesi di maturazione sotto sale, si ossida lentamente e interagisce con le proteine, creando quella consistenza burrosa e quel profilo aromatico complesso che definisce l’alta qualità.
Anche per questo motivo, le acciughe del Cantabrico raggiungono taglie superiori rispetto alle “cugine” mediterranee, permettendo di ottenere filetti più grandi, spessi e carnosi.
La Costera de Primavera: quando il tempo è tutto
Non tutte le acciughe cantabriche sono uguali, nemmeno tra loro. La qualità dipende in modo cruciale dal momento della cattura. La finestra ottimale si chiama “Costera de Primavera” e va indicativamente da marzo-aprile fino a giugno. In questo periodo i banchi risalgono dalle profondità verso la costa per il ciclo riproduttivo. Il tempismo è strategico.
In primavera, l’acciuga ha accumulato le riserve energetiche necessarie per la riproduzione, ma non ha ancora deposto le uova. Se pescata troppo presto, d’inverno, risulta magra e secca. Se pescata dopo la deposizione, le carni possono essere sfibrate. Durante la Costera, il livello di grasso è ideale: abbastanza alto da garantire morbidezza al filetto dopo mesi di salagione, ma non così eccessivo da irrancidire.
Le aziende di alta gamma concentrano i loro acquisti quasi esclusivamente in questi mesi, competendo alle aste del porto per assicurarsi i lotti migliori, pescati all’alba e sbarcati entro poche ore.
Pescare durante il periodo della riproduzione è l’unico modo per avere il meglio dal prodotto, ma è sostenibile solo se strettamente monitorato. Se compri acciughe del Cantabrico certificate (ad es. MSC) stai comprando pesce pescato sotto un regime di quote che garantisce che la maggior parte del banco sia rimasta in mare a deporre le uova.
Bocarte, boquerón, anchoa: una questione di metodo
Prima di proseguire, vale la pena chiarire una distinzione terminologica che spesso genera confusione. In Spagna, bocarte indica il pesce fresco appena pescato. Boquerón è l’acciuga marinata in aceto, quella bianca dal sapore acido che si trova nei bar come tapa. Anchoa, invece, indica esclusivamente il prodotto che ha subito salagione e conservazione sott’olio.
Quando si parla di “acciughe del Cantabrico” nel mondo gourmet, ci si riferisce sempre alla anchoa: il filetto salato, maturato e conservato in olio. Un prodotto che, per arrivare nel vasetto, richiede mesi di lavorazione e tecniche codificate più di un secolo fa, grazie a una comunità di immigrati che arrivavano dalla Sicilia.
- Leggi anche: Alici o acciughe: due nomi, una sola anima salmastra
L’eredità dei salatori siciliani
Alla fine dell’Ottocento, l’industria della pesca in Sicilia attraversava una crisi dovuta alla scarsità di pescato nel Mediterraneo. Famiglie di salatori provenienti da borghi siciliani come Sciacca, Terrasini, Trapani e Porticello iniziarono a cercare nuove fonti di approvvigionamento. Le notizie dal nord della Spagna parlavano di un mare dove le acciughe erano così abbondanti da essere trascurate.
I primi italiani arrivarono come pendolari stagionali: viaggiavano verso il Cantabrico per la stagione di pesca, salavano il pesce in magazzini affittati e spedivano i barili in Italia, dove la domanda era alta. Ben presto si resero conto che la qualità del pescato locale era superiore e che le condizioni climatiche erano ideali per la lavorazione. Iniziò un processo di insediamento stabile che avrebbe cambiato per sempre cittadine come Santoña.
Negli anni Venti del Novecento, Santoña ospitava circa cento famiglie italiane e trenta imprese di conservazione. I siciliani portarono il know-how della salagione; i locali offrirono la forza lavoro, in particolare femminile, e la conoscenza del mare. Questa fusione è oggi celebrata a Santoña con una targa nel “Paseo de los salazoneros italianos“. Cognomi come Orlando, Oliveri, Vella e Sanfilippo sono ancora parte del tessuto imprenditoriale locale.

L’invenzione che cambiò tutto
Fino ai primi del Novecento, le acciughe venivano vendute intere sotto sale. Il consumatore doveva dissalarle e pulirle a casa, un processo laborioso. La svolta è attribuita a Giovanni Vella Scatagliota, un salatore siciliano che operava a Santoña. Intorno al 1883, Vella ebbe l’intuizione di rendere il prodotto più accessibile: pulire il pesce direttamente in fabbrica, eliminare lisca e pelle, confezionare i filetti in piccole latte coperti prima di burro fuso, poi di olio d’oliva.
Nasceva il “filetto di acciuga sott’olio” come lo conosciamo oggi. Un’invenzione apparentemente semplice che trasformò l’acciuga da ingrediente di base a prodotto ready-to-eat. Vella Scatagliota è oggi ricordato come il padre fondatore di questa industria.
Il metodo artigianale: il sobado a mano
La distinzione tra un’acciuga del Cantabrico artigianale e un prodotto industriale sta quasi interamente nel metodo di lavorazione. Il processo inizia in mare, con la pesca a circuizione che permette di individuare i banchi della taglia giusta e raccogliere il pesce senza schiacciarlo. Appena a bordo, il pescato viene immerso in acqua e ghiaccio per bloccare i processi di degradazione.
In fabbrica, le acciughe vengono decapitate, eviscerate e disposte in barili alternate a strati di sale marino, con un peso sopra per favorire la disidratazione. Inizia la maturazione, che può durare da 6 mesi per le linee standard fino a 12-24 mesi per le riserve speciali. Durante questo tempo avvengono reazioni biochimiche complesse: gli enzimi del pesce e l’azione del sale scompongono le proteine in amminoacidi liberi, tra cui l’acido glutammico responsabile del sapore umami. La carne perde acqua, si compatta e cambia colore, passando dal grigio-blu al bruno-rossastro tipico della anchoa matura.
La fase critica arriva con la pulizia. Il metodo industriale utilizza spesso bagni di acqua calda per staccare velocemente la pelle, ma questo “cuoce” leggermente la carne, alterandone consistenza e sapore.
Il metodo artigianale di Santoña, chiamato “sobado a mano“, prevede che le acciughe vengano lavorate una ad una dalle sobadoras, operaie specializzate. La pelle viene rimossa sfregando manualmente la superficie del pesce, senza calore. È un processo faticoso e costoso, ma garantisce che il filetto mantenga la sua consistenza carnosa e il suo grasso naturale.
I filetti vengono poi asciugati, aperti lungo la spina dorsale, privati della lisca centrale e disposti nelle latte o nei vasi di vetro, ricoperti di olio. La semiconserva non viene pastorizzata – altrimenti il pesce cuocerebbe – motivo per cui le acciughe di alta qualità vanno conservate in frigorifero anche prima dell’apertura.
Come riconoscere la qualità
All’apertura di una latta di acciughe del Cantabrico di alta gamma ci sono segnali precisi da cercare. I filetti devono presentarsi integri, di colore uniforme bruno-rossastro, spesso descritto come “color tabacco”. Non devono esserci macchie di sangue né residui di pelle argentata. La spina centrale deve essere stata rimossa con precisione.
Il profumo deve essere netto, di mare e stagionatura, con note piacevoli di “cantina”. Assenza totale di odori rancidi o di pesce crudo. In bocca, la consistenza deve essere soda ma arrendevole, mai pastosa. Il sapore è un’esplosione di umami, con una sapidità presente ma bilanciata dalla dolcezza delle proteine idrolizzate. Il retrogusto deve essere lungo e pulito.
Consorcio: settant’anni tra tradizione e sostenibilità
Nel panorama dei produttori di Santoña, il Grupo Consorcio rappresenta un caso interessante di grande azienda che ha saputo crescere mantenendo il legame con il metodo artigianale. Fondato nel 1950 come consorzio di produttori locali, oggi conta oltre 900 dipendenti e una presenza commerciale in più di 40 paesi.
Le radici dell’azienda affondano direttamente nell’eredità dei salatori italiani. Lo stabilimento principale è a Santoña, dove si concentra la produzione di fascia alta con acciughe del Cantabrico lavorate con il metodo del sobado a mano. Un secondo stabilimento a Pisco, in Perù, permette di diversificare l’offerta con altre specie per i segmenti di mercato più sensibili al prezzo. La linea “Gran Reserva“ rappresenta l’apice della produzione. Questi filetti provengono esclusivamente da acciughe pescate nel cuore della Costera de Primavera, selezionate per taglia e maturate per almeno 12 mesi – il doppio rispetto allo standard – con lavorazione esclusivamente manuale.
Nel 2024, il gruppo ha aperto una filiale diretta in Italia, eliminando gli importatori intermediari. L’obiettivo dichiarato è raddoppiare il fatturato nel mercato italiano in cinque anni, puntando sul canale della ristorazione di alta gamma e sull’e-commerce per le referenze premium.
E va detto che negli ultimi anni Consorcio ha posto la sostenibilità al centro della strategia aziendale, ottenendo la certificazione B Corp, sotto la guida di Valeria Piaggio, vicepresidente del Gruppo e rappresentante della terza generazione dell’azienda fondata dal nonno materno, il genovese Giacomo Croce. L’azienda utilizza inoltre materie prime certificate MSC (Marine Stewardship Council) e ha avviato un piano per ridurre del 90% l’uso di plastica monouso.
Un prodotto che guarda al futuro
L’acciuga del Cantabrico vive oggi di un equilibrio tra fedeltà al metodo produttivo tradizionale e necessità di adattarsi a un mondo che cambia. La lunga maturazione e il sobado a mano rimangono insuperabili dalla tecnologia industriale. Al tempo stesso, la sostenibilità ambientale diventa cruciale per preservare una risorsa marina minacciata dai cambiamenti climatici.
Il differenziale di prezzo tra un’acciuga generica e una del Cantabrico “Gran Reserva” può arrivare al 500-1000%. Un premium giustificato dall’alta incidenza della manodopera specializzata, dalla competizione per la materia prima durante la Costera, dalla perdita di peso durante la maturazione e dagli scarti nella pulizia manuale.
L’eredità dei salatori siciliani non è dunque solo un ricordo da targhe commemorative: è il codice genetico di un’industria che continua a trasformare un piccolo pesce azzurro in uno dei prodotti gastronomici più ricercati al mondo.
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