Brexit, l’incertezza non paga: export italiano in UK al palo - InformaCibo

Brexit, l’incertezza non paga: export italiano in UK al palo

Le esportazioni aumentano del 2% nel 2018 solo grazie all’accelerazione registrata negli ultimi mesi dell’anno, ma quasi tutti i prodotti nazionali più venduti subiscono un calo più o meno drastico. I formaggi perdono l’8,2% in volume

di Vito de Ceglia

Ultima Modifica: 18/03/2019

Il Regno Unito rappresenta per l’Italia il 4° mercato del food and beverage dietro Germania, Francia e Usa con un fatturato stimato di 3,4 miliardi di euro nel 2018, +2,7% sul 2017 (Fonte: elaborazione Federalimentare su dati Istat). Le nostre esportazioni nell’ultimo decennio (2001-2010) sono cresciute del 43%, ben più dei nostri concorrenti francesi o olandesi, ma meno rispetto a spagnoli o tedeschi (+55%). Sono numeri che confermano l’importanza del mercato UK per le aziende italiane che, in questi mesi, hanno vissuto con profondo senso di incertezza la mannaia della Brexit.

Al momento l’unica nota positiva di uno spartito ancora molto confuso riguarda la decisione della Camera dei Comuni (312 voti a favore contro 308 contrari) di votare la scorsa settimana la proroga dell’accordo con la Ue.

Ora il cerino è passato nelle mani di Bruxelles che nei prossimi giorni dovrà decidere se assecondare la proposta di Londra di un’estensione tecnica della scadenza del 29 marzo (dopo di che scatterebbe il tanto temuto no deal). Nel caso l’Europa votasse a favore (come è probabile), il Regno Unito resterà nell’Ue fino al 30 giugno e inizierà i negoziati per le relazioni future con Bruxelles.

 

L’incertezza non paga

 

Il rischio concreto è che questo periodo di incertezza però alimenti lo stato di preoccupazione nel quale vivono e lavorano le nostre imprese. L’incertezza non paga, si sa. Come testimoniano i dati dell’ultimo anno, i quali dicono chiaramente che lo spauracchio di un “no deal” ha inciso in modo molto negativo sulle nostre esportazioni, principalmente per colpa di una sterlina svalutata di oltre il 10% rispetto all’euro. Le statistiche di Federalimentare, relative al 2018, certificano infatti che dal momento della dichiarazione di uscita dalla Ue sancita con il referendum, i tassi di crescita delle vendite italiane sul mercato britannico hanno subito un calo per riprendersi solo nella seconda parte del 2018. Le principali voci dell’export (a valore) verso UK sono state lo scorso anno nell’ordine: l”enologico”, con 783 milioni di euro (+2,41% sul 2017); la “trasformazione degli ortaggi”, con 329 milioni (+2,76%); la “pasta”, con 294 milioni (+0,58%); il “dolciario”, con 287 milioni (-2,12%); le “carni preparate”, con 157 milioni (-0,75%). Da sottolineare poi le performance di settori specifici come “acquaviti-liquori” e acque minerali-gazzose che superano rispettivamente 100 milioni (+31,83%%) e 20 milioni di euro (+19,80%).

 

Prodotti di punta in calo

 

Analizzando in dettaglio le singole voci dell’export si evince però che buona parte dei prodotti italiani più venduti hanno subito una frenata, in alcuni casi una vera e propria inversione di tendenza, in negativo ovviamente. Ad esempio, i legumi e gli ortaggi freschi (80 milioni di euro di fatturato, -8,77%), frutta fresca (116 milioni, -4,34%), frutta secca (35 milioni, 11,92%), frutta preparata e conservata (43,57 milioni, -18,78%), pasta non all’uovo né farcita (182 milioni di euro, -2,03%). In controtendenza invece spumanti (427 milioni, +4,68%) e vini Dop (184 milioni, +11,92%) rispetto ai vini Igp (147 milioni, -18,56%).

 

Formaggi, si salvano solo i duri

 

Un capitolo a parte meritano i formaggi. Dal referendum inglese in poi, il settore caseario italiano ha perso colpi. L’export dei nostri formaggi verso l’UK, terza destinazione per importanza, è diminuito dell’8,2% in volume: -10% i formaggi freschi, -17% i formaggi grattugiati, -4% il Gorgonzola. Si salvano solo, si fa per dire, i formaggi duri con un irrilevante +0,6%. Al momento, conferma Assolatte, reggono i prezzi (+3%) in ragione dell’alto valore aggiunto delle nostre specialità. “C’è il rischio che il prolungarsi di questo periodo d’incertezza scoraggi le imprese italiane e vanifichi gli sforzi che per anni noi imprenditori abbiamo affrontato per consolidare un mercato essenziale per le nostre esportazioni”, precisa Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte”. Esportazioni che nell’ultimo decennio sono aumentate del 60%. “Nel caso andasse in porto l’ipotesi ad oggi più plausibile, ovvero la proroga al 30 giugno della Brexit è imperativo impiegare efficacemente questo periodo, lavorando per ottenere l’abbattimento del 100% dei dazi e garantire l’attuale protezione delle nostre Indicazioni geografiche”, conclude Ambrosi.

 

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L'Autore

giornalista Osservaitalia