Il francavilla torna a splendere: la riscoperta di un vitigno pugliese a rischio estinzione
di Simone Pazzano
Ultima Modifica: 21/11/2025
La viticoltura italiana custodisce un patrimonio di vitigni autoctoni che rappresentano non solo biodiversità, ma anche identità culturale e storia dei territori. Tra questi, il francavilla (o francavidda) – varietà a bacca bianca della Valle d’Itria – stava rischiando di scomparire definitivamente. Un destino che oggi sembra scongiurato grazie a un progetto di recupero che coniuga ricerca agronomica, valorizzazione del terroir e passione per l’enologia territoriale.
Indice
Il francavilla: storia di un vitigno dimenticato
Il francavilla è un vitigno autoctono fortemente legato alla tradizione vitivinicola di Ostuni e della Valle d’Itria. Incluso nel disciplinare della DOC Ostuni – istituita nel gennaio 1972 – insieme a impigno e verdeca per la produzione del Bianco di Ostuni, questa varietà ha conosciuto un destino amaro negli ultimi decenni.
Gli anni Ottanta hanno rappresentato un periodo buio per la viticoltura ostunese: gli incentivi comunitari all’espianto, gli scandali che hanno scosso l’enologia italiana e politiche settoriali poco lungimiranti hanno portato alla quasi totale estirpazione dei vigneti della zona. L’area, che contava oltre 4.000 ettari vitati, si è ridotta a pochi ettari, mettendo a rischio la sopravvivenza stessa della denominazione e dei suoi vitigni simbolo.
Il francavilla, in particolare, era diventato una presenza residuale, un patrimonio genetico e culturale sul punto di andare perduto. Un impoverimento che non riguardava solo la biodiversità viticola, ma anche la possibilità di raccontare attraverso il vino la specificità di questo lembo di Puglia.
Il terroir della Valle d’Itria: dove rinasce il francavilla
La rinascita del francavilla passa necessariamente dalla comprensione del suo territorio d’elezione. Nella zona di Ostuni, a circa 300 metri sul livello del mare e a soli 8 chilometri in linea d’aria dal mar Adriatico, si crea un microclima particolarmente favorevole alla viticoltura di qualità.
Le forti escursioni termiche tra giorno e notte – caratteristica fondamentale per una maturazione equilibrata delle uve – favoriscono la concentrazione di polifenoli e composti aromatici nelle bacche. Il terreno, ricco di scheletro carbonatico di calcio, ossidi e idrossidi di ferro e alluminio, conferisce ai vini verticalità, sapidità e una naturale complessità minerale.
Si tratta di terre rosse generate dalla dissoluzione delle rocce calcaree, con una composizione che vira dall’argilloso all’argilloso-limoso. Il clima mediterraneo, caldo e arido, con precipitazioni concentrate nei mesi autunno-invernali (raramente superiori agli 800 mm annui) ed estati spesso prive di piogge, completa un quadro pedoclimatico ideale per la produzione di vini bianchi freschi, strutturati e di grande carattere.

Un progetto di riscoperta in cui crediamo molto, il francavilla è un vitigno che racchiude l’essenza più autentica del territorio, capace di dar vita a un vino complesso, identitario ed evocativo.
Dario De Pascale
Un progetto di recupero tra vigna e cantina
Il lavoro di riscoperta del francavilla si inserisce in un più ampio progetto di rivalutazione della DOC Ostuni portato avanti dall’azienda Amalberga, realtà vitivinicola fondata da Dario De Pascale – agricoltore ostunese con una lunga esperienza – insieme ai soci Roberto Fracassetti e Roberto Candia, con il supporto tecnico degli enologi Valentino Ciarla e Gloria Battista.
Il recupero del vitigno è iniziato oltre dieci anni fa, con un approccio che privilegia l’agricoltura biologica e la ricerca della massima espressione del territorio. Nel cru di Casale Mindelli, le viti di francavilla – di età compresa tra i sei e i dieci anni – sono allevate a guyot con una densità di 5.000 ceppi per ettaro e rese contenute (circa 80 quintali per ettaro) per garantire concentrazione e qualità.
La vendemmia scalare, condotta tra la seconda metà di agosto e i primi di settembre, permette di cogliere ogni grappolo nel momento ottimale di maturazione. In cantina, le scelte enologiche puntano a preservare l’integrità aromatica e la freschezza: pressatura soffice, utilizzo di azoto per prevenire ossidazioni, fermentazione a temperatura controllata (15 °C) in acciaio. Segue una maturazione di cinque mesi sulle fecce fini con bâtonnage settimanali per arricchire struttura e profondità, prima di un affinamento in bottiglia di almeno due mesi.

Le caratteristiche organolettiche di questo vino
Il risultato di questo meticoloso lavoro è l’Icona d’Itria Francavidda Puglia IGT 2024, un vino che racconta l’essenza del francavilla attraverso un profilo organolettico distintivo e complesso.
All’aspetto si presenta giallo verdolino con riflessi brillanti. Al naso sviluppa un bouquet ampio e materico, con rimandi sulfurei tipici della riduzione e note di frutto tropicale che conferiscono ricchezza olfattiva. La vera sorpresa arriva al palato: la struttura è fine ma intensa, sostenuta da una spalla acida ben integrata e da una sapidità spiccata che richiama la vicinanza al mare e la natura calcarea dei suoli. La lunga persistenza gusto-olfattiva caratterizza questo bianco di personalità.
La temperatura di servizio ideale è tra i 10 e i 12 °C, range che permette di esprimere al meglio la mineralità del vino. Gli abbinamenti spaziano dai piatti a base di pesce alle carni bianche, dalle crudité di crostacei alle proposte vegetariane, dimostrando una versatilità gastronomica non scontata per un vino così caratterizzato.
I riconoscimenti della critica
Il lavoro di recupero del francavilla ha trovato un importante riscontro anche presso la critica enogastronomica. Marco Gatti e Paolo Massobrio hanno inserito l’Icona d’Itria Francavidda nella classifica Top Hundred 2025 de ilGolosario, riconoscimento che premia i migliori vini del panorama italiano per qualità, territorialità e capacità di raccontare un’identità precisa.
Un risultato che testimonia come il recupero di vitigni autoctoni, quando condotto con rigore agronomico ed enologico, possa non solo preservare la biodiversità, ma anche creare prodotti di eccellenza in grado di competere ai massimi livelli. Il riconoscimento si aggiunge al Premio Qualità/Prezzo della guida Berebene 2026 del Gambero Rosso, assegnato all’azienda per il Negroamaro Rosato 2024, a conferma di un approccio qualitativo trasversale a tutta la produzione.
La storia del francavilla dimostra come la viticoltura italiana abbia ancora margini importanti di crescita attraverso la valorizzazione del proprio patrimonio ampelografico.
Ogni vitigno autoctono recuperato non è solamente un vino in più sul mercato, ma un pezzo di storia e identità territoriale che torna a essere raccontato.
In un panorama enologico sempre più globalizzato, questa diversità rappresenta un valore inestimabile: la capacità di offrire esperienze uniche, irripetibili altrove, radicate in un luogo specifico e nelle mani di chi quel luogo lo conosce e lo rispetta.
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