Lo sapevi che questi piatti non sono nati dove pensavi?
Dall’omelette francese alla tempura giapponese, scopri i piatti che hanno origini diverse da quelle che immagini.
di Alessandra Favaro
Ultima Modifica: 07/03/2025
L’enogastronomia, assaggiare i prodotti locali durante un viaggio, è una delle esperienze sempre più amate dai viaggiatori. Pensate che secondo i dati diffusi dal motore di ricerca di voli e hotel Jetcost.it, l’80% dei turisti dichiara con orgoglio di assaporare sistematicamente le specialità locali durante i propri viaggi.
Eppure, dietro molti piatti e ingredienti che associamo istintivamente a specifiche culture o paesi, si celano storie di origine sorprendentemente diverse. Un patrimonio gastronomico plasmato da migrazioni, colonizzazioni, scambi commerciali e, talvolta, semplici equivoci. Il team di Jetcost.it ha portato alla luce una selezione di specialità culinarie la cui provenienza autentica sfida le convinzioni più radicate, rivelando origini ben lontane da quelle che il loro nome sembrerebbe suggerire.
Vediamo se sapete da dove provengono i seguenti piatti.
Indice
L’omelette francese? Non è francese
L’omelette, che tutti associamo alla Francia, nasconde un’origine che di francese ha ben poco. Contrariamente a quanto il nome lasci intendere, la storia di questo semplice piatto affonda le radici in un contesto bellico lontano dai confini d’Oltralpe.
La versione più accreditata sulla nascita dell’omelette francese ci riporta al periodo della Guerra d’Indipendenza, precisamente durante il prolungato assedio delle città di Cadice e San Fernando da parte delle truppe francesi. Per due anni e mezzo, la popolazione locale resistette in condizioni di estrema penuria alimentare, con una drammatica scarsità di ingredienti fondamentali come patate, cipolle e verdure.
In questa situazione di necessità, la tradizionale tortilla spagnola subì una drastica semplificazione: ridotta ai minimi termini, venne preparata utilizzando esclusivamente uova. Per distinguere questa versione essenziale dalla ricetta originale, gli abitanti la battezzarono ironicamente “tortilla a la francesa” (frittata alla francese), in riferimento agli assedianti.
Il dato curioso è che, anche dopo la conclusione del conflitto, quando le provviste tornarono disponibili, molti continuarono a preferire la versione minimalista. Così, quella che era nata come una soluzione d’emergenza si consolidò nella tradizione culinaria con il nome di “omelette francese“, fino a perdere nel tempo il riferimento alle sue controverse origini.
Un esempio affascinante di come eventi storici e adattamenti forzati possano plasmare il patrimonio gastronomico mondiale, trasformando un piatto nato dalla necessità in un classico senza tempo della cucina internazionale.
L’insalata russa fu inventata da un francese
La paternità di questa celebre insalata va attribuita a un talentuoso chef franco-belga, Lucien Olivier, che a metà del XIX secolo approdò in Russia per assumere il ruolo di capo cuoco presso il prestigioso ristorante L’Hermitage di Mosca. Fu proprio in questo tempio della gastronomia che, nel 1860, Olivier creò la ricetta destinata a diventare famosa in tutto il mondo.
La versione originale, denominata “Insalata Olivier” in onore del suo creatore, rappresentava un trionfo di ingredienti pregiati: carne di pernice, granchio, prezioso caviale, lattuga fresca, patate bollite e olive, il tutto amalgamato sapientemente con una generosa dose di maionese. Una preparazione sontuosa che conquistò immediatamente il palato dell’aristocrazia moscovita, diventando il piatto simbolo dell’alta società russa.
La storia di questa insalata subì una brusca svolta con l’avvento della Prima Guerra Mondiale e della Rivoluzione Russa. In un contesto di diffusa povertà, la ricetta originale, inaccessibile ai più, venne democratizzata: gli ingredienti lussuosi lasciarono il posto a componenti più umili e facilmente reperibili come patate lesse, carote e piselli, mantenendo la maionese come elemento legante.
Quando questa versione semplificata oltrepassò i confini russi per diffondersi nelle cucine di tutto il mondo, assunse definitivamente l’appellativo di “insalata russa”, perdendo nel nome il riferimento al suo illustre creatore, ma conservando nella sua evoluzione la testimonianza di profondi cambiamenti storici e sociali.
Le bistecche alla russa non sono proprio russe
L’hamburger non è nato ad Amburgo
Una curiosità: l’hamburger più caro al mondo costa 5.000 dollari e si chiama The Golden Boy, una creazione dello chef Robbert Jan De Veen, proprietario del ristorante olandese De Daltons, situato a Voorthuizen (Paesi Bassi). Il suo capolavoro contiene, tra gli altri, tartufo bianco, caviale Beluga, formaggio Cheddar, whisky Macallan e manzo wagyu. Ma l’ingrediente più sfarzoso è sicuramente la foglia d’oro, che misura 15 cm di lunghezza e pesa 0,8 kg. Il suo prezzo è imbattibile: 5.000 dollari (4.250 euro). Naturalmente è stato inserito nel Guinness dei primati.
Il croissant: simbolo di resistenza Viennese
Il croissant, emblema della pasticceria francese, vanta in realtà nobili origini austriache. Durante l’assedio ottomano di Vienna nel 1683, i panettieri locali, lavorando nelle ore notturne, scoprirono i rumori sospetti provenienti dai tunnel che i turchi stavano scavando per infiltrarsi nella città. Grazie alla loro prontezza nel dare l’allarme, le forze viennesi riuscirono a respingere l’attacco nemico.
Per celebrare questa vittoria storica, i fornai crearono un dolce a forma di mezzaluna, simbolo dell’Islam e della bandiera ottomana – una sorta di vendetta simbolica che suggeriva ironicamente di “mangiare un turco”. I viennesi battezzarono questa specialità “kipferl“.
Il dolce giunse alla corte francese solo all’inizio del XIX secolo, introdotto dalla regina di origine austriaca Maria Antonietta. I maestri pasticceri francesi ne rivisitarono la ricetta, sostituendo l’impasto lievitato con la pasta sfoglia, dando così vita al croissant moderno che conosciamo oggi. Alcune versioni della leggenda collocano questa storia a Budapest, testimoniando la ricchezza delle tradizioni culinarie mitteleuropee.
La pizza: dal Mediterraneo a Napoli
Se è indiscutibile che la pizza nelle sue versioni classiche sia nata a Napoli, le sue lontane origini come focaccia condita attraversano millenni e civiltà diverse. Già ai tempi di Dario I il Grande (521-500 a.C.), i soldati persiani consumavano una focaccia con formaggio fuso e datteri. Simili preparazioni si ritrovano in numerose culture mediterranee, dall’Antica Grecia all’Egitto.
La consacrazione della pizza avvenne però a Napoli, dove nacquero le versioni più iconiche: la Marinara, con pomodoro, aglio, origano e olio – ingredienti non deperibili ideali per i lunghi viaggi in mare – e la Napoletana con pomodoro e mozzarella.
Un aneddoto curioso: la famosissima “pizza pepperoni” tanto amata all’estero, specialmente negli Stati Uniti, in Italia semplicemente non esiste. Nel Belpaese, i “peperoni” (con una sola p) sono esclusivamente ortaggi, e la versione più simile alla pepperoni americana è la “pizza Diavola”, condita con salame piccante.
Tempura: un’eredità cattolica portoghese in Giappone
Sebbene universalmente associata alla cucina giapponese, la tempura – tecnica di frittura in pastella di pesce e verdure – ha origini sorprendentemente europee. Il termine stesso deriva dal latino “tempora ad quadragesimæ” (periodo di Quaresima), riferendosi alla tradizione cattolica di astenersi dalla carne durante certi periodi dell’anno liturgico.
Questa tecnica fu introdotta in Giappone dai marinai e missionari portoghesi giunti a Nagasaki nel 1569. I giapponesi, fraintendendo il termine che indicava il periodo di astinenza, lo adottarono come nome della preparazione stessa, perfezionandola fino a renderla un pilastro della loro gastronomia.
L’arroz a la Cubana: un piatto spagnolo sconosciuto a Cuba
Paradossalmente, l’arroz a la cubana tanto popolare in Spagna è praticamente sconosciuto sull’isola caraibica. A Cuba il riso bianco è certamente un alimento base, ma viene tradizionalmente servito come contorno per carne o fagioli neri e rossi, senza l’accompagnamento di uova fritte, pomodoro e platano tipici della versione spagnola.
La ricetta attuale si deve agli emigrati spagnoli tornati da Cuba dopo la Guerra d’Indipendenza, particolarmente nelle Isole Canarie. Furono loro ad arricchire il piatto con salsa di pomodoro e a denominarlo “arroz a la cubana”, creando quell’equilibrio di sapori dolci e salati che ne ha decretato il successo.
Il Sushi: dal Sud-Est Asiatico al Sol Levante
Il sushi, unanimemente considerato l’emblema della cucina giapponese, affonda le sue radici nel Sud-Est asiatico, dove nacque come metodo di conservazione del pesce. Originariamente, il riso fermentato veniva utilizzato esclusivamente come conservante e poi scartato, consumando solo il pesce.
Questa tecnica di conservazione si diffuse prima in Cina e successivamente in Giappone, dove subì una radicale evoluzione fino a diventare il raffinato piatto che conosciamo oggi. Se il Giappone ha indubbiamente perfezionato l’arte del sushi elevandola a espressione culturale, le sue origini attraversano diverse civiltà asiatiche.
La Chimichanga: un “incidente” gastronomico statunitense
Ci credereste che la chimichanga – burrito ripieno di carne e verdure fritte – spesso erroneamente attribuita alla tradizione messicana, è in realtà una creazione statunitense? La leggenda più accreditata racconta che Monica Flin, proprietaria dell’El Charro Café in Arizona, fece cadere accidentalmente un burrito in una friggitrice d’olio bollente.
Assaggiando il risultato e trovandolo delizioso, decise di brevettare questa nuova preparazione. Il nome stesso del piatto deriverebbe da un aneddoto curioso: mentre il burrito volava verso la friggitrice, Monica stava per pronunciare una parolaccia in spagnolo (“chingá”), ma in presenza di bambini la trasformò istantaneamente in “chimichanga”, coniando così il nome di questa specialità tex-mex.
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