Cascina Colombara – Livorno Ferraris (Vc) - InformaCibo

Cascina Colombara – Livorno Ferraris (Vc)

di Informacibo

Ultima Modifica: 30/03/2015

Molte testimonianze tramandano di Vercelli e del suo “ager” come un territorio, popoloso, vasto e fertile. Saltiamo secoli e secoli arrivando così ad un periodo più recente.  Sono davvero tanti gli eventi che hanno toccato il territorio vercellese: le risaie nel 1859 fermarono l’avanzata delle truppe austriache verso Torino;  qui nacquero le lotte sindacali per la conquista delle 8 ore lavorative; le mondine presero coscienza della propria dignità operativa.

Da secoli, ogni primavera, quasi per magia, ettari ed ettari di risaia si trasformano in un immenso e caratteristico specchio d’acqua. Con l’avanzare della stagione la risaia cambia in relazione al colore del cereale che cresce e fiorisce, in una infinita distesa di pannocchie dorate. Le varietà di riso prodotte nel Vercellese sono numerose, pregiate sia dal punto di vista gastronomico che nutrizionale.  La strada del riso è una campagna piatta segnata da fiumi e canali, dove se una volta si udivano le voci  delle mondine che cantavano le loro fatiche, oggi si sente il canto degli uccelli che hanno scelto le risaie come loro habitat. Questa è una terra dove il legame con il riso e l’acqua ha radici antiche e profonde: l’architettura rurale, le corti risicole con le loro aie, gli approdi per i barconi, gli impianti di essiccazione e le pile, l’ambiente umido della risaia con la sua intensa ricchezza di vita, la gastronomia che valorizza le pregiate varietà di riso.

Sono sorte cascine di grande rilievo. La Cascina Venaria a Lignana, la Tenuta Castello a Desana alle porte di Vercelli, la Cascina Colombara a Livorno Ferraris.  E’ localizzata all’interno di una oasi faunistica ed è la tipica cascina agricola a corte chiusa che per secoli fu autosufficiente, ovvero aveva al suo interno il forno, artigiani, sellai, maniscalchi, colture varie.  Vanta un imponente ingresso con due torrioni laterali.   Ha una lunga storia che risale al 1298 nata come ostello per i viandanti, per trasformarsi nel 1500 in tenuta agricola, da quando i frati cistercensi della vicina Abbazia di Lucedio introdussero la risicoltura nella zona così ricca di preziosa acqua. Il terreno del vercellese è particolarmente adatto per la coltivazione del riso in quanto ha in superficie un primo strato fertile, mentre sotto è argilloso e impermeabile.  Per permettere ai visitatori di meglio comprendere, attraverso gli oggetti in uso la vita del contadino nel passato, sono stati raccolti in un piccolo, ma singolare museo, attrezzature varie, macchine e carri agricoli, arredamenti.

La Famiglia Rondolino la acquistò all’inizio del 1900. E’ condotta con i criteri dell’agricoltura biologica certificata ed è circondata da acqua di grande purezza. Nei suoi 130 ettari si coltiva riso Carnaroli che nella tenuta riceve particolari attenzioni. Se, generalmente, il cereale dopo la raccolta viene lavorato e messo sul mercato, alla Colombara, per esaltarne la qualità, il prodotto si affina. Viene posto nei silos e lasciato riposare per due o tre anni, dopo di chi si inizia la lavorazione, decorticazione, pilatura, bramatura, cernita, scartando all’incirca metà del prodotto. Il risultato è un riso purificato e depurato, raffinatissimo.  Il fiore all’occhiello della cascina è Acquerello, riso Carnaroli Superfino ( [email protected] ). Sono proprio i processi di invecchiamento, lunga raffinazione, lavorazione e gemmatura a rendere unico questo riso apprezzato dai migliori chef e gourmet del mondo. Viene venduto in lattine sottovuoto, variabili per data di invecchiamento, di diversi formati. E’ il risultato di antiche tradizioni e patrimonio culturale contadino. Sarà presente alla Expo 2015.
In collaborazione con le Regioni Piemonte ed  Emilia Romagna, l‘associazione Slow Food nel 2004 ha avviato la prima Università degli Studi di Scienze Gastronomiche riconosciuta dallo Stato Italiano, la cui sede è situata a Pollenzo, nel cuneese. Considerando la cultura, la tradizione, la rispettosa osservanza delle regole di produzione, la trasparenza della filiera alimentare  e l’alta qualità del riso Acquerello,  l’università di Pollenzo ha scelto la Tenuta Colombara  come sede didattica distaccata.
 


Il riso è bello a vedersi, ha un colore bianco luminoso, scricchiola dolcemente, si lascia scorrere piacevolmente fra le dita, è ornamentale accanto a qualunque pietanza, arricchisce un piatto unico, ti invita a degustarlo. Il suo candore dà felicità e il suo semplice chicco  è considerato di buon auspicio.
Esistono antiche leggende legate alla cultura del riso: a pochi chilometri della Colombara si trova Isana una cascina ricostruita su un’antica mansio templare risalente al XII secolo: i racconti locali parlano di una secolare pietra infissa nel terreno, soprannominata menhir d’Isana alla quale ancora oggi la popolazione attribuisce poteri taumaturgici.
Tutti sanno che la rana abbonda nelle risaie. La rana era considerata dagli antichi contadini cinesi  un  prezioso barometro annunciatore della pioggia. Su questo animale esistono graziose leggende. Si dice che Ch’ang-ho fosse la giovane sposa di un famoso arciere al servizio di un imperatore leggendario. Una sera, mentre insonne dal balcone ammirava la luna, ebbe inizio un eclisse. Allora essa prese dal fianco del marito dormente il suo arco poderoso e volle salvare la luna lanciando una freccia contro l’ombra che la stava invadendo.  La freccia  trascinò Ch’ang-ho sulla luna trasformandola in rana. Da lei nacquero le fasi lunari e il susseguirsi delle piogge.

Confucio spiega che per il nostro passaggio sulla terra bastano “un cappello e un pugno di riso”. Anche Budda parla con saggezza del cereale “chi offre il riso dà la vita” e al seme attribuisce la forza creativa atta a sconfiggere malattia e morte.  In oriente la tradizione vuole che per scegliere il nome a un nascituro si pongano in una bacinella di fine porcellana alcuni chicchi di riso facendoli rimestare. Ogni granello porta il nome di un antenato: dalla posizione assunta dai chicchi viene attributo il nome al nascituro.

Fu Alessandro Magno ad esportare il cereale dalla verde valle dell’Eufrate. La fantasia intravede nei secoli il susseguirsi di lunghe carovane che percorrono terre sconosciute e insidiose, battaglie, razzie, grandi vittorie. I nostri sacchetti di riso penzolanti dalla groppa di un cammello arrivavano fino a noi passando sotto  la Porta del Pepe di Alessandria d’Egitto. Traffici di sete, spezie e amuleti transitavano sotto la stessa porta, come pure le delicate porcellane provenienti dalla regione cinese del Fujian che venivano protette e imballate nel riso. Nella penuria di frumento, orzo e segale è sempre stato  il riso a sfamare popolazioni stremate. Negli archivi troviamo due lettere datate 1475 con le quali il Duca Sforza di Milano dava autorizzazione ad esportare a Ferrara agli Estensi dodici sacchi di riso da semina con una precisazione: ogni sacco ne avrebbe prodotti dodici.

Nel 2002 venne pubblicato il libro “Sua Maestà il Riso” (Alfredo Zavanone), per il quale ho personalmente effettuato le ricerche storiche, seguito  da una seconda edizione nel 2004, anno in cui  le Nazioni Unite hanno decretato il 2004 Anno Internazionale del Riso, ricordando che il riso è il nutrimento base di oltre metà della popolazione mondiale ed è considerato patrimonio dell’umanità.
 

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Capo Redattore