Il banchetto di nozze e altri sapori, l’ultimo libro di Carmine Abate
di Informacibo
Ultima Modifica: 27/02/2017
Si ripropone al pubblico dei suoi lettori con Il banchetto di nozze e altri sapori (Mondadori, Milano, 2016, pp. 166, E. 15), presentato a Parma il 24 febbraio scorso alla libreria “Voltapagina”, Carmine Abate, il prolifico scrittore di Carfizzi, paese arbëreshë del Crotonese.
Il prezioso volumetto inebria con un autentico tripudio di sapori. Sono i sapori dei cibi, ma anche i sapori della mente e dell'anima. Giova, infatti, sottolineare fin da subito che il libro non è un ricettario di cucina. Ai cibi, che hanno seguito l'autore nella sua erranza imposta da ragioni di studio, di lavoro o di scelte di vita, si legano indissolubilmente pensieri, sentimenti, valori, emozioni. E ricordi. I ricordi di persone, luoghi, momenti significativi, che hanno segnato il percorso biografico di Abate tra la Calabria, la Puglia, la Germania, il Trentino.
Il cibo, quindi, assume in questo libro, che può essere considerato un delicato memoriale, un carattere identitario, che rifugge però dall'idea dell'esclusione. Anzi, esso si propone come una metafora che simbolicamente contiene e rappresenta un ideale forte della ideologia umana e letteraria di Carmine Abate. Vale a dire, quel vivere per addizione, che è rinvenibile non solo nell'omonima raccolta di racconti, ma in gran parte della sua copiosa produzione narrativa.
Non a caso, ne Il banchetto di nozze, nella fantasmagoria di pietanze, legate alle tante realtà regionali familiari all'autore, s'impone per la sua valenza simbolica la polenta con la 'nduja, un piatto che sposa sapori estranei fra loro nel segno della convivialità e della solidarietà. A significare, appunto, l'opportunità di tenere insieme e far convivere armoniosamente tradizioni e culture diverse di genti che pur sono geograficamente lontane. Nel caso specifico la Calabria e il Trentino, ma più in generale il Nord e il Sud, l'Italia e l'Europa, l'Europa e il mondo.
Nel primo protagonista è Carmine al mare all'età di sette anni. Con lui è la nonna che lo accompagna al mare di Cirò Marina e, dopo essersi religiosamente chinata a baciare la sabbia, dove un giorno approdarono gli avi albanesi, fa mangiare al nipotino la frittata mare e monti da lei cucinata con amorevole premura.
Nel secondo Michele, il figlio settenne di Carmine, gusta a sua volta la cuzzupa con l'uovo rosso di robbia, preparato con altrettanto amore da sua nonna che, prima di iniziare il sontuoso banchetto pasquale, bacia la sabbia per perpetuare il rito appreso dalla madre. E' il passaggio ideale del testimone fra generazioni diverse.
Sono due narrazioni di straordinaria eticità e di struggente bellezza, che ci consegnano il messaggio di fondo del libro. Che il cibo è valore antropologico, storico, pedagogico e, si potrebbe dire, religioso. E' memoria individuale e collettiva, che si condivide con chi è intorno a noi e anche con coloro che sono stati prima e che verranno dopo di noi. In una continuità ideale, che abbatte le barriere dello spazio e del tempo.
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