Jefta, accordo “rischioso” per le eccellenze italiane - InformaCibo

Jefta, accordo “rischioso” per le eccellenze italiane

Giappone-Ue: in vista della ratifica del patto di libero scambio, il dibattito entra nel vivo tra sostenitori e detrattori.

di Vito de Ceglia

Ultima Modifica: 13/09/2018

Quasi 7 miliardi di euro. Tanto vale il fatturato dell’export italiano verso il Giappone realizzato da 14.921 imprese, di cui l’83% sono Pmi, supportate 88 mila lavoratori.

Numeri che l’Italia ha prodotto negli ultimi 2 anni, prima che il Jefta, l’accordo di libero scambio tra Ue e Giapponeandasse in porto. Firmato il 17 luglio a Tokyo, il patto di partenariato diventerà operativo solo dopo la ratifica dei due rispettivi parlamenti, prevista entro marzo 2019, prima dell’inizio della Brexit. Da quel momento sarà effettiva l’eliminazione di buona parte del miliardo di euro di dazi pagati ogni anno dalle aziende dell’Ue che esportano in Giappone.

Il Jefta, dicono i sostenitori dell’intesa, è la premessa per una nuova storia nei rapporti tra il Sol Levante e il Vecchio Continente. Una storia che, per l’Italia, inizia in chiaroscuro.

Partiamo dalle note positive: il Giappone si presenta come un mercato ricco, caratterizzato da 127 milioni di consumatori molto esigenti, continuamente alla ricerca di prodotti di nicchia e di qualità, quindi con uno spiccato interesse per le eccellenze agroalimentari italianeTra i prodotti nazionali più esportati ci sono vino, olio d’oliva, pomodoro, pasta e aceto

L’accordo eliminerà o ridurrà drasticamente i dazi su parecchie derrate agroalimentari, ma la liberalizzazione non sarà totale né immediata per tutti i prodotti. Ad esempio, i vini europei beneficeranno di un’immediata abolizione delle tariffe, finora tra le più alte al mondo. Altrettanto si può dire per i formaggi a pasta dura. Per quelli freschi, invece, sarà stabilito un contingente in esenzione da dazi. Le carni di maiale subiranno una drastica riduzione tariffaria, mentre le carne bovine registreranno una diminuzione progressiva entro 15 anni.

Tutto bene, quindi? A quanto pare, no. Almeno secondo i detrattori dell’accordo, i quali osservano che il diavolo si nasconde nei dettagli. Innanzitutto, perché il Jefta riconosce solo il 6% delle IG (indicazioni geografiche) europee, cioè 200 su 3.300 circa. Di cui 45 italiane su oltre 200: 19 prodotti agroalimentari (tra cui Aceto Balsamico di Modena, Aceto balsamico tradizionale di Modena, Mela Alto Adige, Asiago, Fontina, Gorgonzola, Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano e Taleggio). E 26 vini (tra cui Chianti, Chianti Classico, Prosecco e Conegliano-Prosecco).

Numeri a parte, l’accusa più grave parla di una scarsa tutela del Jefta nei confronti delle Dop e Igp italiane. Considerato che: i nomi dei più noti formaggi italiani Dop (Grana Padano, Mozzarella di Bufala Campana, Pecorino Romano, Pecorino Toscano, Provolone Valpadana, Mortadella Bologna Igp) sono “relativamente protetti” dall’accordo, solo in quanto nomi composti. Ma la loro usurpazione è possibile, anzi quasi sicura: ad esempio, il Grana’ (è sufficiente non aggiungere ‘Padano’), la Mortadella’ (basta cambiare il nome della città che segue) e così via. Il tutto, è l’obiezione, in evidente contrasto con il livello di tutela affermato in Europa già a partire dalla Convenzione di Stresa nel 1951 e consolidato da una sentenza della Corte di Giustizia.

Non solo, i marchi già utilizzati “in buona fede” prima dell’entrata in vigore dell’accordo sono considerati legittimi se pure usurpino quel 6% delle Dop e Igp europee che il Giappone riconosce. E ancora: i marchi, che usurpano le nostre eccellenze, potranno addirittura venire mantenuti sul mercato senza neppure l’obbligo di indicare la vera origine dei relativi prodotti, per un periodo transitorio di 7 anni (cibi) e 5 anni (vini). Infine, formaggi italiani Ddp e Igp più celebri potranno venire comunque “condizionati” (cioè grattugiati, affettati, confezionati) in Sol Levante per un periodo transitorio di 7 anni.

Messi sul piatto i “pro” e i “contro” del Jefta, è lecito chiedersi: l’Italia ci guadagna o ci perde?

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L'Autore

giornalista Osservaitalia