Sardegna: La strada del vino e del pane
di Informacibo
Ultima Modifica: 06/11/2012
Pare sicuro che in epoca nuragica la vite fosse già presente in Sardegna. Il patrimonio viticolo evidenzia che molti vitigni sono autoctoni, altri sono stati importati dalle diverse aree del Mediterraneo.
La Strada del Vino. I vini sardi sono particolarmente apprezzati per la loro corposità e dolcezza. Tanto apprezzati da avere in buona parte acquisito il riconoscimento a Doc. Come non ricordare il Campidano di Terralba, da bersi preferibilmente giovane, il Carignano del Sulcis, la Malvasia di Bosa Secco, la Malvasia di Cagliari, vino di fine pasto anche nella versione spumante, il Mandrolisai rosso e rosato, il Monica di Sardegna secco, il Moscato di Sardegna spumante, il Moscato di Sorso-Sennori dolce dal profumo intenso caratteristico, il Nasco di Cagliari secco, il Nuragus di Cagliari, il Vernaccia di Oristano
Fra tutti questi ottimi vini, ne vogliamo descrivere due di particolare carattere: il Cannonau e il Vermentino, che rappresentano l’espressione più tipica della produzione enologica dell’isola.
Il Cannonau da sempre è il vino simbolo della Sardegna. A questo vino per molti anni si è attribuita una probabile origine spagnola per la somiglianza al canonazu di Siviglia, ma oggi dopo l’analisi di numerosi vinaccioli ritrovati in occasione di scavi archeologici nei nuraghi – risalenti al 1200 a.C – viene considerato un vitigno autoctono, come avvalorato dalle ricerche fatte dall’Agris, il dipartimento per la ricerca dell’arboricoltura regionale. La maggiore diffusione è accentrata nelle provincie di Nuoro, di Sassari e nel Campidano ed ha caratteristiche differenti da zona a zona. L’eccesso di tecnologia applicata nel passato ha portato a snaturarlo, tentando la strada del vino più leggero. Ora si ritorna all’antico, al tradizionale alberello con basse rese per ettaro e macerazioni più spinte. Il Consorzio di Tutela del Cannonau e la Strada del Vino del Cannonau lavorano per dare maggior vigore alla valorizzazione di questo straordinario vino. Sono ancora numerosi i Cannonau a denominazione geografica ottenuti da uve rosse o bianche in percentuali diverse, ma la denominazione d’origine controllata riguarda il Cannonau di Sardegna secco (doc). Ha un colore rubino intenso, profumo ampio e continuo con sentori di mallo di noce. La gradazione alcolica minima è di 12,5 % vol. , invecchiamento di alcuni anni in botti di legno. Ottimo con carni alla brace, cacciagione, formaggi stagionati. Temperatura consigliata 18-20°C.
Il Vermentino è un vino che ha girovagato in Toscana, Liguria, Provenza; si ritiene sia stato introdotto sull’isola dalla Corsica alla fine del 1800. La zona “classica” di questo vitigno è la Gallura, ma ormai è diffuso in tutta l’isola con caratteristiche molto diverse. Occupa una superficie di circa tremila ettari. E’ un vitigno dalle grandi foglie argentate dal grappolo medio, color giallo “biondo” che ci dona un vino Doc di grande personalità caratterizzata dai differenti ambienti di coltivazione, raffinato con sentori di frutta matura, equilibrato, fresco, non paragonabile ad altri vini italiani ed esteri che portano la stessa denominazione. La produzione della Gallura è denominataVermentino di Gallura (docg). Ha colore paglierino carico, profumo floreale e ammandorlato, sapore secco ma morbido, caldo. Ottimo con piatti di pesce e formaggi poco stagionati. Non è da invecchiamento, ma particolari annate possono resistere due, tre anni e più. La gradazione alcolica minima è 12 gradi, se raggiunge i 14 viene considerato “superiore”.
La Strada del Grano. Il Consorzio Turistico Sardegna Costa Sud ( www.sardegnasud.it ) ha da decenni promosso un percorso lungo le Strade del Grano che ha come protagonista i luoghi dove è ancora viva la tradizione legata alla lavorazione del pane, alla pasta fatta a mano, ai dolci tipici. Il percorso insegna che il principale ingrediente del forno è l’arte, che richiede amore, mentre l’amore per il pane richiede pazienza. Perché è così che questo mestiere viene insegnato. Non è raro trovare persone che amino veramente il pane. Sono attratte dallo scricchiolio della crosta, ne conoscono tutte le forme, i sapori, i profumi, ne coltivano il gusto, ne discutono con sapienza. Il pane è ritenuto, da sempre, simbolo di vita e di abbondanza. Nella tradizione sarda il pane è considerato il cibo fondamentale in ogni casa. La sua stessa lavorazione, rigorosamente attribuita alle donne, è un vero e proprio rito. Le varietà del pane sardo sono molte e diverse fra loro; hanno nomi che ne rievocano la provenienza: civraxiu, coccoi, zichi, pistoccu, moddizzosu, ma fra tutti il più conosciuto è la sfoglia sottile del “Pane Carasau”. E’ un pane di storia antica: grazie alla sua doppia cottura, perde quasi interamente l’umidità e questo processo di lavorazione consentiva, in passato, ai pastori che stavano in montagna per mesi, di cibarsi con un prodotto sempre fresco. Il Consorzio del Pane Carasau ha sviluppato lavori di ricerca sui lieviti ed approfondite analisi delle materie prime, per ottenere un prodotto di alto valore nutrizionale e di buona conservabilità.
Il civraxiu è un pane di semola di grano duro, tipico del Campidano. Oggi apprezzato per la sua bontà, era considerato il pane dei poveri. Lo si assapora con un filo di olio extravergine di olive, spesso viene servito tagliato a fette sul fondo di tipici vassoi in sughero accanto a succulenti arrosti di porchetta o agnello. Ilcoccoi, grazie ad un lievito naturale acido, ha un aroma ed un profumo inconfondibili. La compattezza della sua pasta e la possibilità di poterlo gustare fragrante anche dopo alcuni giorni, permette di essere utilizzato non solo a tavola, ma anche nella realizzazioni di singolari forme in occasione di eventi particolari. Le tecniche di decorazione, veramente appariscenti, vengono tramandate di madre in figlia, ed è indubbio che creare queste opere d’arte richiede grande esperienza e manualità.
Il pane è l’alimento quotidiano, direi quasi un insaporitore di qualunque cibo. Nel 4000 a.C. a Babilonia si conosceva già il pane, ma furono gli egiziani a scoprire per caso la lievitazione: lasciando l’impasto all’aria e cocendolo il giorno dopo, risultava più morbido. Gli antichi greci istituirono i forni pubblici e le regole per la panificazione, ma la prima bottega di panettiere, accanto all’immancabile mugnaio, sorse a Roma. Da un censimento, pare che nel terzo secolo d.C. esistessero in città ben 254 panetterie. Per legge era stabilito che il costo del frumento per panificazione fosse più basso del prezzo di mercato. Nel Medioevo solo i signori potevano permettersi pane di farina di frumento, la popolazione si cibava di pane d’orzo, farro, segale, miglio ed altri cereali. Nel Rinascimento, grazie al lievito di birra ed alle farine di migliore qualità, il prodotto divenne sempre più gustoso.
Fare il pane ha avuto, in ogni civiltà e religione, un significato sacro, quasi un rito magico. In Atene le donne offrivano a Cerere, dea delle messi, farina da loro macinata per ottenere fertilità e salute; i Romani per propiziarsi il favore degli dei, orzo trito mescolato a sale. Nella Bibbia, Adamo è condannato a guadagnarsi il pane. Nei Vangeli gli Apostoli di Cristo attestano che: “mentre erano a tavola Gesù prese il pane lo benedisse e lo diede loro”. Nel “Padre Nostro”, preghiera insegnata da Gesù stesso, si recita “Padre nostro che sei nei cieli… dacci oggi il nostro pane quotidiano”.
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