La terra come tradizione più grande: intervista a Virgilio Martinez
di Simone Pazzano
Ultima Modifica: 12/03/2018
A Milano, durante Identità Golose 2018, abbiamo avuto il piacere di intervistare Virgilio Martinez, chef peruviano del ristorante Central a Lima, quinto miglior ristorante al mondo nella celebre classifica World’s 50 Best Restaurants e primo in Sud America. Con lui abbiamo parlato del suo grande lavoro di studio e scoperta della immensa biodiversità che caratterizza il Perù e di come ha rivoluzionato la cucina tradizionale locale.
Il concetto di Central e del menu Altitudini
Come raccontato anche da una bellissima puntata di Chef’s Table su Netflix, la cucina di Virgilio Martinez è una profonda esplorazione della biodiversità del Perù. Lo chef ha anche dato vita a Mater Inititativa, un ambizioso progetto per mappare la biodiversità peruviana, in cui si avvale della collaborazione di professionisti di differenti settori. Il menu che propone da Central è un vero e proprio viaggio attraverso le diverse altitudini del Paese, con piatti che vanno dai 20 metri sotto il livello del mare fino ai 4.100 sopra. Un menu degustazione in 17 portate che riflette il grande lavoro di ricerca fatto da Virgilio Martinez e sua sorella tra le Ande, la foresta amazzonica e il mare: ogni piatto è realizzato con i frutti che la terra regala in quello specifico ecosistema.
Spesso guardando l’aspetto e la composizione di certi piatti, tanti storcono il naso e dicono di preferire la cucina tradizionale alle innovazioni introdotte dall’alta cucina. Virgilio Martinez con il suo lavoro ha dimostrato che in realtà non esiste tradizione più grande che quella della nostra terra e quindi nel momento in cui mangiamo un suo piatto stiamo mangiando l’essenza del Perù.
L’intervista a Virgilio Martinez
All’inizio, quando hai cominciato questo tuo percorso culinario, i peruviani hanno capito e apprezzato subito?
No. Ma devo dire che all’inizio ero io a non essere in grado di capire l’importanza delle tradizioni del mio Paese, perché non ero particolarmente felice di viverci e volevo viaggiare. E infatti poi ho lasciato il Perù, ho vissuto molto all’estero e viaggiato tanto, perdendo quindi il contatto con le mie radici e la mia vera identità. È quando sono tornato che ho scoperto l’importanza e la gioia di vivere in un paese come il Perù, circondato dalla natura. A quel punto ho sviluppato una sorta di gratitudine per avere la possibilità di essere uno chef in Perù e quindi ho iniziato a cucinare recuperando la tradizione peruviana in modo creativo.
Qual è la tua definizione di curiosità?
È la chiave per scoprire tutto quello che non conosci della vita. Vedi una cosa e non ti limiti ad accettare che sia solo in quel modo, ma anzi pensi che puoi provare a cambiarne i dettagli e magari trasformarla. È una continua evoluzione e sperimentazione che ti dà delle emozioni. Se uno chef perde questa emozione, questa voglia di cercare, e si accontenta di fare business è finito.
Credi che in un momento storico come questo, il tuo lavoro – e più in generale quello degli chef – possa contribuire a sensibilizzare sul tema dell’ambiente?
Secondo me il ruolo dello chef è quello di un comunicatore formidabile e quindi è fondamentale per la salvaguardia della biodiversità. Credo che lo chef con il suo lavoro possa davvero aprire la mente delle persone.
Quanto tempo passi a studiare e fare ricerca?
Dedico molto tempo alla ricerca. Devo viaggiare molto, per me al momento è l’unico modo per scoprire quanto ha da offrire il Perù. E in questo sento di avere una grande responsabilità, anche nei confronti delle persone che lavorano con me. In linea di massima credo che il mio tempo sia equamente diviso tra cucina e viaggi.
Ascoltare è fondamentale perché ti permette di ricevere l’energia della gente quando parla delle proprie tradizioni. Bisogna rallentare e ascoltare.
Sempre in tema di fattore umano, quanto è importante per te il confronto con le persone che incontri durante i tuoi viaggi alla scoperta dei diversi ecosistemi peruviani?
Moltissimo. Parlo davvero tanto con la gente che incontro. Anzi, devo dire che ne ho proprio bisogno perché ho tantissimo da imparare. Ascoltare è fondamentale perché ti permette di ricevere l’energia della gente quando parla delle proprie tradizioni. Bisogna rallentare e ascoltare.
Come detto, il tuo menu Altitudini racconta i diversi ecosistemi del Perù. Si tratta di un lavoro senza fine o credi che un giorno arriveremo ad avere una mappa definitiva della biodiversità di questa splendida terra?
Abbiamo migliaia – sì, migliaia! – di varietà di patate diverse. Quindi enormi possibilità di conoscenza e di impiego. E questo, ripeto, solo con le patate.
Pensiamo allora a quante varietà di mais dovremo scoprire e studiare. E poi tutti gli altri frutti che la terra offre…
Cosa pensi della cucina italiana? E ci sono somiglianze con quella del Perù?
Beh, è sicuramente una fonte di ispirazione per tutti. Si trova un po’ di Italia in tutte le cucine. La cosa che mi piace di più è la vostra capacità di apprezzare e godere il buon cibo, la passione con cui difendete le vostre tradizioni: in questo sì, devo dire che siamo molto simili. Non di rado mi capita anche di avere degli italiani nella mia cucina.
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