Cosa significa ora che la nostra cucina è diventata patrimonio Unesco
È la prima al mondo ad essere conosciuta nella sua interezza
di Alessandra Favaro
Ultima Modifica: 10/12/2025
La cucina italiana è ufficialmente patrimonio dell’umanità. L’UNESCO lo ha deciso oggi, 10 dicembre 2025, riunito a New Delhi. E non è un riconoscimento qualunque: è il primo nella storia per una cucina nazionale nella sua interezza.
C’è stato un lungo applauso nella sala del Comitato intergovernativo quando è stato annunciato il verdetto. Un applauso che è risuonato raggiungendo le cucine delle nostre nonne, i laboratori dei nostri casari, i campi dei nostri produttori, le osterie dove ancora si cucina come una volta.
Indice
Una cucina, mille storie
Per la prima volta nella sua storia, l’UNESCO ha scelto di premiare una tradizione culinaria nella sua globalità. Non un singolo piatto, non una tecnica specifica, ma l’intera cucina di un Paese.
Ve ne parliamo qui:
La cucina italiana è la prima al mondo a diventare patrimonio Unesco
Ed ora?
Le parole scelte dall’UNESCO per motivare il riconoscimento vanno dritte al cuore di chi ama il cibo italiano.
La cucina italiana, si legge nella decisione ufficiale, è “una miscela culturale e sociale di tradizioni culinarie”, un modo per prendersi cura di se stessi e degli altri, per esprimere amore e riscoprire le proprie radici culturali. Non è solo nutrimento: è linguaggio, è memoria, è identità.
L’organizzazione sottolinea come il cucinare all’italiana favorisca l’inclusione sociale, promuova il benessere e offra un canale per l’apprendimento intergenerazionale. È una pratica radicata nelle ricette anti-spreco, nella trasmissione di sapori e ricordi attraverso le generazioni, nei ruoli intercambiabili che permettono a tutti di partecipare. In poche parole: la cucina italiana è un atto comunitario che supera barriere culturali e generazionali.
Le voci dell’orgoglio italiano
“Siamo i primi al mondo a ottenere questo riconoscimento, che onora quello che siamo e la nostra identità”, ha dichiarato la premier Giorgia Meloni. E ha aggiunto una frase che sintetizza il senso profondo di questo momento: “Per noi italiani la cucina non è solo cibo o un insieme di ricette. È cultura, tradizione, lavoro, ricchezza”.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, presente a New Delhi durante la votazione, ha ringraziato la rete diplomatica italiana per il lavoro svolto: “Si vince quando c’è un grande gioco di squadra”, ha sottolineato, evidenziando come ambasciate e consolati abbiano fatto “il massimo perché tutti potessero conoscere la cucina italiana”.
Dal mondo della ristorazione arrivano parole cariche di emozione. Massimo Bottura, uno degli chef italiani più celebrati al mondo, ha commentato ai media come questo sia un importante punto di partenza.
I custodi della biodiversità
Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia, legge nel riconoscimento anche un tributo alla straordinaria agrobiodiversità italiana: “Si tratta di un riconoscimento alla biodiversità su cui Slow Food lavora, valorizzandola attraverso progetti come i Presìdi e l’Arca del Gusto, da quasi 40 anni”. È un passaggio fondamentale: dietro ogni piatto della tradizione italiana c’è un ecosistema fatto di semi antichi, razze autoctone, tecniche tramandate, territori vocati.
Il dossier di candidatura, curato dal giurista Pier Luigi Petrillo, sottolinea proprio gli sforzi compiuti dalle comunità negli ultimi sessant’anni per preservare questo patrimonio.
Un patrimonio che vale oro
I numeri danno la dimensione economica di questo riconoscimento. Secondo l‘analisi di Coldiretti su dati Deloitte, la cucina italiana vale oggi nel mondo 251 miliardi di euro, con una crescita del 5% rispetto all’anno precedente. Solo Stati Uniti e Cina rappresentano insieme oltre il 65% dei consumi globali di cucina italiana.
Ma non è solo una questione di fatturato. I precedenti riconoscimenti UNESCO hanno dimostrato l’impatto concreto sullo sviluppo territoriale. L’isola di Pantelleria, che nel 2014 è entrata nei patrimoni culturali immateriali per la coltivazione della vite ad alberello, ha registrato un aumento del 9,7% del turismo all’anno, che sale al 75% se si considera il turismo fuori stagione. L’arte dei pizzaiuoli napoletani ha visto crescere del 283% i corsi professionali e del 420% le scuole accreditate, tutte all’estero.
DOP, IGP e PAT: il cuore del riconoscimento
Per chi come noi di Informacibo racconta da sempre le eccellenze certificate, questo riconoscimento ha un significato particolare. La cucina italiana è fatta di Denominazioni di Origine Protetta, Indicazioni Geografiche Protette, Prodotti Agroalimentari Tradizionali, Presìdi Slow Food. È fatta di disciplinari rispettati, di consorzi che tutelano, di produttori che resistono sulle montagne e nelle valli.
Ogni forma di Parmigiano Reggiano stagionato in un caseificio dell’Appennino, ogni prosciutto di Parma appeso nelle celle di San Daniele, ogni bottiglia di Barolo che riposa in cantina è parte di questo patrimonio. Il riconoscimento UNESCO non celebra l’astrazione della “cucina italiana”, ma la concretezza di chi ogni giorno si alza all’alba per mungere, vendemmiare, impastare, stagionare.
Uno strumento contro l’Italian sounding
Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha sottolineato un aspetto cruciale: questo riconoscimento “sarà uno strumento in più per contrastare chi cerca di approfittare del valore che tutto il mondo riconosce al Made in Italy”. L’Italian sounding – la pratica di evocare l’italianità su prodotti che italiani non sono – vale miliardi di euro sottratti ai nostri produttori. Avere il timbro UNESCO sulla cucina italiana rafforza la battaglia per l’autenticità.
Rappresenta anche nuove opportunità per creare posti di lavoro e ricchezza sui territori, per proseguire nel solco di una tradizione che ora il mondo intero riconosce ufficialmente come patrimonio dell’umanità. Non è retorica: è la possibilità concreta per piccoli produttori di veder riconosciuto il valore del loro lavoro, per i territori di attrarre un turismo più consapevole, per le giovani generazioni di trovare dignità economica nel continuare mestieri antichi.
Cosa significa per i territori
Questo riconoscimento arriva in un momento cruciale per le aree interne del Paese. Molti borghi dell’Appennino, delle Alpi, delle isole minori sopravvivono proprio grazie alle loro produzioni tipiche. Il casaro che tiene aperto il caseificio a 1000 metri di altitudine, il produttore di lenticchie che coltiva su terreni impervi, il pastore che porta avanti la transumanza: sono loro i veri custodi di questo patrimonio.
Il riconoscimento UNESCO può diventare una leva potente per il turismo enogastronomico consapevole. Non più viaggiatori in cerca del “pittoresco”, ma persone che vogliono capire, conoscere, rispettare. Persone disposte a salire su una montagna per incontrare chi produce un formaggio DOP, a perdersi in una valle per scoprire un presidio Slow Food, a sedersi alla tavola di un’osteria dove si cucina secondo tradizione.
Il riconoscimento apre nuove opportunità anche per la filiera del vino, aceti e distillati, come ha sottilineato oggi in un commento il presidente di Federvini.
La responsabilità che ci consegna
Gianmarco Mazzi, sottosegretario alla Cultura con delega UNESCO e firmatario della candidatura, ha parlato di “sogno realizzato” e di “successo per tutti gli italiani, nessuno escluso”. Ma ha anche ricordato che con questo riconoscimento arriva una responsabilità: “Sapremo tutelare questo patrimonio per trasmetterlo alle generazioni del futuro”.
È forse questo il punto più delicato. Un riconoscimento UNESCO non è un traguardo, è un punto di partenza. Ci chiede di essere all’altezza, di proteggere davvero la biodiversità, di sostenere i piccoli produttori, di contrastare la standardizzazione, di educare le nuove generazioni al valore del cibo autentico. Ci chiede di non trasformare la tradizione in folklore, ma di mantenerla viva, dinamica, capace di innovare restando fedele a se stessa.
Oggi la cucina italiana è ufficialmente patrimonio dell’umanità. Domani sta a noi dimostrare di meritarcelo, ogni giorno, in ogni scelta che facciamo quando acquistiamo un prodotto, quando ci sediamo a tavola, quando raccontiamo una storia di cibo. Perché, come dice l’UNESCO, cucinare all’italiana non è solo preparare da mangiare: è prendersi cura di sé e degli altri, è esprimere amore, è riscoprire le proprie radici. È un atto che rende migliore il mondo.
I 20 elementi italiani patrimonio UNESCO
Con l’ingresso della cucina italiana, l’Italia conta ora 20 elementi nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. Di questi, nove sono legati all’agroalimentare: la cucina italiana, l’arte dei pizzaiuoli napoletani, la transumanza, la costruzione dei muretti a secco in agricoltura, la coltivazione della vite ad alberello dello zibibbo di Pantelleria, la dieta mediterranea, la cerca e cavatura del tartufo, il sistema irriguo tradizionale e l’allevamento dei cavalli lipizzani.
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