Domingo Schingaro: "Vi spiego la ricchezza della cucina povera" - InformaCibo

Domingo Schingaro: “Vi spiego la ricchezza della cucina povera”

Lo chef di Borgo Egnazia si racconta e illustra la sua filosofia in cucina, fatta di umiltà, materie prime autentiche, creatività e sorpresa. I suoi maestri e i suoi progetti. E una sorpresa: sdogana i cocktail a tavola

di Alessandra Favaro

Ultima Modifica: 01/02/2019

Domingo Schingaro, classe 1980 e radici pugliesi, è lo chef del resort diffuso Borgo Egnazia a Savelletri di Fasano. Gestisce  80 cuochi e 5 ristoranti, ha conquistato una stella Michelin con il ristorante gourmet del borgo, I Due Camini, e annuncia una nuova stagione (la struttura riapre il 14 febbraio)  ricca di novità in menu.

Dopo esperienze all’estero e in Italia, come 10 anni in Piemonte ai Due Buoi, gli ultimi 3 vissuti a fianco dello stellato Andrea Ribaldone e 6 mesi strong al ristorante di Identità Expo,  Domingo è tornato nella sua Puglia, per conquistare una clientela internazionale ed esigente senza effetti wow, ma con l’autenticità del gusto.

[SPOILER]  Non a caso, saranno le radici una delle novità gastronomiche della prossima stagione, oltre agli abbinamenti di alcuni piatti in menù con bevande e drink diversi: da cocktail a centrifughe, nuove sensazioni in tavola.

Lo sento al telefono un martedì mattina di gennaio mentre è a casa, e dal “Chef le rubo pochi minuti” si passa alla mezz’ora e più di chiacchierata su cucina, spreco alimentare, rispetto e creatività. Dico chef, eppure Domingo Schingaro, utilizza molto di più la parola “cuoco“. Un mestiere che per lui è stile di vita e che vive come l’opportunità di far scoprire e sorprendere con i frutti della sua terra. Mi ha raccontato la sua idea del cuoco contemporaneo e alcune anticipazioni sulla prossima stagione enogastronomica a Borgo Egnazia. Ecco la sua intervista.

BorgoEgnazia_DueCaminiKitchen_DavideDutto
Lo chef Domingo Schingaro con la sua brigata nella cucina del Due Camini a Borgo Egnazia (foto Davide Dutto)

Intervista a Domingo Schingaro

 

Oltre al curriculum di uno chef, ci sono le esperienze che lo hanno formato e che sono state determinanti per quello che è oggi. Quali sono le tappe più importanti del tuo percorso professionale?

Sicuramente la mia scuola alberghiera a Bari, dove ho conosciuto Domenico Maggi che mi ha insegnato l’umiltà e il rispetto per la materia prima.
La mia famiglia anche è stata fondamentale: padre pescatore e madre massaia, con la capacità di cucinare quello che portava mio padre all’ultima ora tornando dal mercato dalla vendita del pesce. Mia madre era capace di costruire dei piatti in tempi record: questa capacità di adattamento mi ha incuriosito per proseguire la mia carriera lavorativa.

Da giovane inoltre l’ esperienza più significativa è stata quella di uscire dall’Italia e andare a Londra, dove come uomo e come professionista ho avuto una visione diversa della cucina e di quello che poteva essere il mio futuro. Poi sicuramente l’affiancamento con Andrea Ribaldone dove abbiamo preso la stella (Michelin, ndr) nel 2015, che mi ha portato a una visione ancora più diversa della cucina contemporanea. C’era da lavorare molto di più sul gusto e non sulla visione di un piatto dal punto di vista estetico,  dove magari mi concentravo di più prima. Poi con Andrea sono maturato:  il gusto per me ora è racchiudere tutto in pochi ingredienti.

C’è stata anche un’esperienza intensa a Expo 2015…

Sicuramente. Io ero lo chef resident: abbiamo ospitato più di 200 chef, è stato come concentrare 6 mesi di stage in giro per il mondo. Con tanti coperti e spazi ridotti e una gestione spesa veramente difficile, la materia prima che arrivava di notte (non poteva arrivare di giorno). Quella è stata la mia crescita completa. Ho imparato la gestione sia psicologica che fisica di questo lavoro . Questa prova mi permesso di fare la scelta pù coraggiosa e più audace per me, che è stato di scegliere Borgo Egnazia dove gestisco 80 cuochi e 5 ristoranti. Se non avessi fatto quel periodo a Identità penso che non avrei mai accettato, per paura.

E ora com’è gestire un colosso del lusso con 80 cuochi e 5 ristoranti?

E’ essere in prima linea. Non avere mai paura, non dimostrare mai a nessuno che non hai la situazione sotto controllo, anche se a volte non ce l’hai.  Perchè questo permette alla tua squadra di essere serena. Provare a risolvere subito i problemi.

Sai, io vivo la cucina come diceva il grande Gualtiero Marchesi, cioè alla fine facciamo due uova al tegamino, non salviamo la vita a nessuno, dunque con molta serenità si possono risolvere i problemi e affrontare le montagne piano piano, passo dopo passo.  Borgo Egnazia è una struttura appassionante e complessa, con una clientela molto molto esigente dove il 90 % è straniero. Gli stranieri sono molto più aperti per certi aspetti rispetto a noi italiani, molto curiosi e quando vengono in regioni come la Puglia cercano qualcosa di autentico.

Autenticità, filosofia antispreco e prodotti del territorio sono un po’ la firma del tuo stile di cucina. Come proponi questi tre pilastri ai tuoi ospiti?

A Borgo Egnazia abbiamo un motto: nowhere else. Non la puoi vivere da nessuna’altra parte un’esperienza così. Un piatto simbolo mio ad esempio sono gli gnumareddi, uno street food che viene riproposto in chiave gourmet.  Sono queste animelle di agnello che si mangiano in giro con un panino. Riportarli in un ristorante gourmet e farli conoscere a tutti per me è stata una vittoria. A un ospite che viene da Manhattan, Brasile, Australia non posso proporre il foie gras, o il caviale, si può permettere di mangiarli sempre, anche in aereo. Io gli preparo lo gnumareddu.

Non è una cucina povera, anzi, è ricchissima perchè ce l’ho solo io, ce l’ha solo la Puglia e si può mangiare solo da noi in quel modo. Ecco qual è la chiave vincente secondo me.

Un piatto di gnumareddi alla maniera di Domingo Schingaro ( foto Davide Dutto)
Un piatto di gnumareddi alla maniera di Domingo Schingaro ( foto Davide Dutto)

Una struttura come Borgo Egnazia può favorire anche lo sviluppo della filiera locale dei produttori e reti di economia circolare?

Certamente.  Lavoriamo sulla filiera e sullo sfruttamento completo della materia prima, con il minor spreco possibile. Faccio un esempio: ho inserito un macellaio all’interno della mia brigata, cosa che forse avevo solo letto nei vecchi libri di cucina. Questo perché mi permette di selezionare e acquistare bestie intere da un allevatore. Perchè avendo 600 dipendenti una mensa e 5 ristoranti io uso tutti i tagli .

E, sembrerà strano, ma i tagli inferiori, diciamo da scarto, li uso nel gourmet. Mi piace lavorare di più su quelli perchè secondo me il valore di un cuoco è proprio quello di essere un custode della materia prima e dei sapori veri.

Così abbiamo fatto un po’ con tutti. Avendo una potenza economica di acquisto, è stato possibile andare dal contadino che ha alberi di mandorle per esempio e concordare l’acquisto, anche totale, del raccolto. Il contadino è contento perchè non deve lottare coi grossisti sul prezzo al centesimo, e io so di avere una materia prima al top , di uno stesso produttore, che mi garantisce quindi anche uniformità  del prodotto e mi permette di standardizzare il piatto. Questo l’ho fatto con le mandorle, con il pomodoro, con la carne e il pesce.

Avete prodotti a km 0 a Borgo Egnazia?

Si. Calcola che quasi il 50-60% di ortaggi poi lo produciamo all’interno del borgo e delle altre strutture: Masseria Cimino, Masseria San Domenico e Masseria Le Carrube. Coltiviamo carciofi, cime di rapa, piselli, fave, e così via.

E in inverno?

Quando la struttura è chiusa portiamo avanti un lavoro invernale dove abbattiamo, mettiamo sott’olio, conserviamo tutto quello che produciamo in inverno per riutilizzare poi quando apre di nuovo la struttura. Noi riapriamo il 14 febbraio, il giorno di San Valentino per restare aperti poi fino a fine dicembre, ma in questi mesi ci sono lo stesso dei cuochi che vanno avanti con la produzione giornaliera di quello che viene prodotto per non buttare via niente.

Qual è il tuo approccio con la materia prima?

Penso al suo utilizzo a monte: quando immagino qualche piatto rifletto su quale può essere lo scarto della materia prima e poi su quello che viene realizzato. Se uso le cime di rapa ad esempio preferisco dare tutte le cime alla trattoria così ci fa delle belle orecchiette alle cime di rapa classiche. Poi tutto quello che viene scartato cerco di lavorarlo e renderlo diverso sul gourmet, proprio per realizzare piatti nuovi e cercare di non sprecare nulla .

il ristorante Due Camini a Borgo Egnazia
il ristorante Due Camini a Borgo Egnazia

Che novità ci aspettano a tavola con la riapertura del Due Camini e di Borgo Egnazia?

Lavorerò molto sulla parte vegetale.Ultimamente ho scoperto la radice della cicoria che non conoscevo. Mi stanno piacendo molto  le radici perchè hanno un racconto radicato alla terra. Una scoperta unica per me. Lavorerò molto sulle radici quindi quest’anno: anche una fave e cicoria invece di farlo con la cicoria classica proverò a farla con la radice della cicoria.

Qual è secondo te il ruolo del cuoco contemporaneo?

Sono del parere che non ci debba essere per forza un effetto wow in ogni piatto, ma ci deve essere una scoperta da parte del cliente di qualcosa di nuovo come sono curioso io quando vado in un ristorante gourmet, una trattoria o a casa di qualcuno. Oggi sto lavorando molto più sul gusto, sui prodotti che non si trovano dappertutto. E’ difficile ma secondo me è il compito di oggi del cuoco contemporaneo.

E c’è un prodotto raro o iperlocale a cui sei affezionato?

Si: il fungo caroncello. Si trova ovunque nei mercati ma è quello di batteria. Quello selvatico ha un sapore unico. E’ difficile da trovare e da raccogliere, perchè si trova sotto la pianta dei cardi, ma ha un sapore e una consistenza unici, che preferisco molto di più anche ai porcini.

egnazia vermouth rosso bottiglia
Il primo Vermouth pugliese

Di recente Borgo Egnazia ha lanciato il primo vermouth pugliese. Lo utilizzerai anche in cucina?

E’ un prodotto ottimo. Ed è stato bello come il nostro beverage manager Dario Gentile lo ha fatto nascere, con il supporto di tutti. Ha seguito tutto il progetto ed è merito suo, ma ci ha coinvolti tutti, anche non addetti ai lavori.   Abbiamo fatto un test un anno fa con diverse miscele di erbe per trovare quella migliore e da lì lui ha perfezionato il prodotto fino a quello ottenuto oggi. Il merito va tutto a Dario ma è stato bello il lavoro di squadra che ha ascoltato i gusti di tutti, anche chi non era un tecnico. Un lavoro intelligente che  lo ha aiutato costruire un vermouth secondo me perfetto.

Dalla prossima carta il vermouth farà parte secondo me anche di qualche piatto e sicuramente cominceremo ad abbinare sia il vermouth liscio a qualche piatto su consiglio del maître e anche qualche cocktail col prodotto da abbinare qualche piatto del gourmet.

Sdoganiamo i cocktail e le bevande “alternative” a tavola?

Si. Anche le centrifughe e i succhi funzionano molto bene. Dipende dal piatto a cui si accompagnano. Lavorando la prossima stagione sulle radici potremmo abbinare a dei piatti proprio delle centrifughe o con il vermouth, che ti dà la spinta di spezie e di aromi. Nella mia testa già funziona.

Leggi anche:

Il gin migliore? Un blind taste premia quello low cost

Condividi L'Articolo

L'Autore

giornalista